Badanti, ecco tutti i trucchi per difendersi dalle truffe

Alcune migliaia di persone ieri lo hanno già scritto: «Il datore di lavoro attesta che, alla data del 30 giugno 2009, occupava irregolarmente alle proprie dipendenze, da almeno tre mesi, il lavoratore indicato e continua ad occuparlo... ».
Questo è quanto tutti hanno dichiarato e dichiareranno sino al 30 settembre presentando domanda per regolarizzare la colf o la badante. Una tra le tante domande che si rincorrono in questi giorni è: «Ma come si fa a certificare che il lavoratore clandestino ha iniziato a prestare la sua opera almeno dal 1° di aprile?». Sin troppo semplice, lo stesso modulo di domanda di emersione costituisce una autocertificazione di quanto in esso dichiarato e chi scrive il falso incorre in un illecito penale.
Nessun problema quindi per le persone oneste ma resta il fatto che si tratta di una dichiarazione che coinvolge due persone ma che è sottoscritta da una sola. Ne consegue che il clandestino (anche se oggi sembra il più onesto del mondo, ndr) potrebbe in un futuro smentire lo stesso datore di lavoro che lo aveva regolarizzato, chiedendo per esempio presunti contributi pregressi o dichiarando in seguito una diversa data di inizio lavoro.
Come ci si può difendere? Un primo passo è far firmare al lavoratore un modulo come quello accanto. In pratica si può fare una fotocopia o una scansione del suo passaporto e poi invitarlo a scrivere e firmare una dichiarazione in cui da una parte conferma la data in cui ha iniziato a lavorare presso di voi e dall’altra di aver ricevuto tutti i compensi concordati. Un passo importante, dovuto, e che è meglio sia fatto davanti a testimoni. Un giorno qualcuno potrebbe raccontare d’essere stato costretto... Volendo si può anche spedirselo via posta, piegandolo in tre e senza metterlo in una busta, in modo da avere la data stampata sopra. Oppure si può farlo firmare al lavoratore davanti a un pubblico ufficiale quando si è convocati dallo Sportello Unico per l’Immigrazione per la valutazione della nostra domanda.
«Un documento importante - commentano gli avvocati dello studio legale associato Gavazzi Palermo Patera di Milano - anche se in base all’articolo 2113 del codice civile le rinunce e le transazioni che hanno per oggetto diritti del lavoratore non sono valide salvo che, come dice l’ultimo comma dell’art. 2113 siano fatte davanti a un soggetto istituzionalmente deputato alla tutela della parte debole (lavoratore ndr) e quindi un sindacato».
Ma allora che valore ha il nostro documento? «Ne ha molto e per tutti sino a che non è la nostra stessa colf a metterlo in discussione - continuano gli avvocati dello Sla -, a quel punto il suo valore probatorio all’interno di un processo civile inerente il rapporto di lavoro è nullo. Un’altra alternativa potrebbe consistere in una responsabilizzazione del lavoratore coinvolgendolo formalmente e sostanzialmente, a livello normativo, nel processo di regolarizzazione. Andrebbe obbligato - concludono gli avvocati milanesi - a rendere congiuntamente al datore, quando entrambi saranno convocati allo Sportello Unico dell’Immigrazione, la dichiarazione inerente il momento in cui il rapporto di lavoro è iniziato.

A quel punto la tutela del datore sarebbe più marcata, quantomeno sotto il profilo penale». Una cosa è certa, tutti i datori di lavoro che stanno procedendo alle regolarizzazioni hanno una speranza in comune: quella di essersi portati in casa una persona onesta.
mario.cucchi@ilgiornale.it

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