Bagdad, sventato attacco all’ambasciata italiana

Un kamikaze si è fatto saltare a un funerale sciita causando 35 morti

Fausto Biloslavo

Le truppe irachene hanno sventato un attentato all’ambasciata italiana a Bagdad, grazie a informazioni raccolte dall’intelligence americana, e hanno arrestato i cinque sospetti terroristi che stavano preparando l’attacco. Lo ha rivelato ieri il comando Usa, mentre le autobombe uccidevano altri cinquanta iracheni.
Secondo gli americani «il 15 novembre scorso, durante un’operazione di rastrellamento, il primo battaglione della seconda brigata irachena ha arrestato cinque membri di una cellula, che stava pianificando un attacco all’ambasciata italiana a Bagdad». Il 15 novembre era un martedì. Lo stesso giorno il ministero della Difesa iracheno aveva rilasciato un comunicato in cui parlava di un rastrellamento nella capitale, che aveva portato all’arresto di una settantina di sospetti. In questo contesto gli iracheni avevano sottolineato che era stata smantellata una cellula di terroristi pronti a uccidere «l’ambasciatore di un Paese amico». La soffiata sulla cellula sarebbe arrivata all’intelligence americana: sembra che il piano prevedesse un vero e proprio attacco, forse suicida e con autobombe, alla nostra ambasciata. Oltre all’arresto dei cinque sospetti, gli iracheni hanno sequestrato «due veicoli che i terroristi volevano utilizzare nell’attentato».
L’ambasciata si trova a Waziryah, un quartiere della capitale adiacente a quello di Adhimya, roccaforte sunnita, dove ogni sera giungono echi di sparatorie. Proprio nel quartiere sunnita sarebbero stati arrestati i componenti della cellula pronta ad attaccare l’ambasciata. Secondo fonti de il Giornale a Bagdad, arrivano spesso segnalazioni di minacce rivolte alla nostra sede diplomatica, di cui almeno una al mese appare attendibile. Negli ultimi tempi, però, gli allarmi parlavano soltanto di possibili rapimenti di giornalisti italiani o di personale diplomatico del nostro Paese. Da un anno a questa parte non era giunta alcuna segnalazione precisa su un attacco, per di più kamikaze. Invece, secondo gli allarmi più recenti la cellula terroristica che sarebbe stata pronta a entrare in azione con un sequestro era composta da siriani legati alla nebulosa della guerriglia irachena. Non a caso già da qualche tempo il nostro ambasciatore a Bagdad, Gian Ludovico De Martino, ha trasferito la sua residenza nella super fortificata zona verde, dove hanno sede il comando americano, l’ambasciata Usa e altre delegazioni diplomatiche. La nostra ambasciata invece è rimasta a Waziryah, considerata «zona rossa», dove è stata molto rinforzata con difese attive e passive. Ma nonostante lo stato d’allerta, è già stata attaccata sei volte, con colpi di mortaio o razzi, che hanno provocato vittime soltanto fra gli iracheni all’esterno.
Bisogna anche tener conto che a 400 metri dalla sede diplomatica c’è un bunker militare iracheno, altro obiettivo privilegiato. Anche ieri un’autobomba è esplosa vicino a una stazione di rifornimento a un chilometro circa dall’ambasciata. L’esplosione, avvenuta alle 11.45 ora locale, era diretta apparentemente contro una pattuglia di soldati Usa, rimasti illesi. Ne hanno invece fatto le spese i passanti iracheni.
Dopo il venerdì di sangue anche ieri è stata una giornata di odiose stragi. Un’autobomba è esplosa nella piazza del mercato di Dyala, nella zona sud-est della capitale. L’attentato, avvenuto alle 10 locali, ha seminato morte e distruzione in mezzo ai civili iracheni che affollavano il mercato per gli acquisti del primo giorno lavorativo della settimana musulmana. Nella strage sono morte almeno quindici persone e una ventina sono rimaste ferite.
A Baquba, a nord di Bagdad, un kamikaze al volante di un’auto carica di esplosivo si è lanciato contro un funerale. Come è usanza in Irak, i parenti ricevono le condoglianze sotto una tenda aperta al pubblico.

In questo caso il defunto era uno sceicco sciita, zio di Raad Majid, presidente del consiglio municipale di Abu Saida, un sobborgo di Baquba. Il fatto che il defunto fosse un capo sciita e il nipote partecipasse all’amministrazione della comunità è bastato al kamikaze per uccidere 35 persone e ferirne 23.

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