Ballerine e masai, le dame leggere di Parigi

Le sfilate della Ville Lumière. Il sex appeal dello spirito tribale e i colori dell’Africa: è l’ottimismo della moda. Da Dior e Galliano sguardi sul mondo

Ballerine e masai, 
le dame leggere di Parigi

Parigi - Mentre l’economia mondiale sta vivendo una tragedia paragonabile solo all’11 settembre, sulle sfilate di Parigi soffia il vento della concretezza. Alcuni stilisti rinunciano al superfluo trovando un nuovo baricentro creativo nella ricerca di qualità indispensabile per accontentare una clientela sempre più selettiva.

È il caso di John Galliano che per la collezione Dior della prossima estate si è ispirato allo chic tribale senza incursioni nell’etnico. «In questo momento le turbolenze estetiche non hanno senso, vince piuttosto un’elegante leggerezza per donne che tengono il loro destino tra le mani» spiega il designer di Gibilterra. «Danza che ti passa» sembra invece dire Jean Paul Gaultier, ma la sua bella collezione ispirata dall’incontro con il giovane coreografo e danzatore Emio Greco, lanciava lo stesso messaggio: per sopportare il peso di una simile crisi ci vuole una moda leggera, senza sovrastrutture e convincente.

«Ho vissuto tre giorni con i Masai e mi sono accorto che l’eleganza tribale non è poi così lontana dall’esprit Dior avendo un senso molto speciale del sex appeal» sostiene Galliano nel backstage dopo aver fatto sfilare una serie di semplici abitini corti e danzanti nei colori del sole africano o in quelli pallidi del bush. Portabili perfino da chi non ha il corpo glorioso di Carla Bruni (certo a lei staranno meglio) i modelli erano spesso impreziositi solo dai magnifici accessori tra cui le scarpe con la statuetta di una dea della fertilità al posto del tacco. Il risultato era strepitoso nonostante mancassero gli effetti speciali in passerella a cominciare dallo stesso Galliano che per una volta era vestito sobriamente. Il grande Gaultier che in genere si veste con l’allegra maglia dei marinai a righe bianche e blu, stavolta era in nero mentre la sua convincente collezione era piena di colori: dai delicati toni pastello al giallo acido, dalle tinte della notte al fuxia. Tutto mixato con un’idea di donna moderna e senza languori dimostra che non c’è niente da ridere nel rarefatto mondo della moda parigina. Comunque sia ha fatto scalpore la location scelta per il defilé celebrativo del ventennale di Martin Margiela: una vecchia morgue che il comune vuol trasformare in galleria d’arte. In un luogo del genere la vista della giacca fatta con non si sa bene quante parrucche di capelli biondi aveva qualcosa di sinistro soprattutto perché stiamo parlando dello stilista-fantasma, un genio che nessuno ha mai intervistato e pochissimi hanno visto dal vivo. «Era anche lui in passerella dietro all’abito-torta del gran finale» assicura Renzo Rosso che sei anni fa ha acquistato il marchio portandolo a fatturare 70 milioni di euro all’anno.

Dai Fujiwara ha costruito la poetica collezione Miyake portando in Amazzonia 3.000 campioni di colore per trovare gli otto punti di verde su cui articolare una moda squisitamente metropolitana anche se piena di riferimenti al mondo incantato della giungla.

«Per salvare la foresta amazzonica ci vogliono 30 miliardi di euro: basta con il consumismo, dobbiamo comprare meno, ma meglio» dice Vivienne Westwood con una bella collezione dedicata alle battaglie ecologiste del Principe Carlo. Nicholas Guesquiere nelle cui capaci mani il Gruppo Gucci ha affidato Balenciaga risolve il problema con un’immagine di passerella a metà strada tra Star Trek e il medioevo.

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