Balletto sui pensionati con 40 anni di contributi: cambia il limite, anzi no

RomaPer mezza giornata di ieri, fra la tarda mattinata e le sette di sera, le norme per il futuro accesso alle pensioni erano cambiate. Poi è tornato tutto, o quasi, come prima. Con un emendamento alla manovra economica, governo e maggioranza avevano introdotto una norma epocale: dal 2016 i quarant’anni di contributi versati non avrebbero dato accesso automatico alla pensione, ma anche questo parametro sarebbe stato legato alle aspettative di vita certificate dall’Istat.
Per qualche ora, si è pensato a una ripetizione del blitz dell’anno scorso, quando Giulio Tremonti fece inserire in manovra il legame fra età anagrafica di pensionamento e aspettativa di vita. A sera è invece giunta la nota del ministro del Lavoro: «La norma che prevede l’aggiornamento del requisito di 40 anni di contribuzione all’incremento della speranza di vita calcolata dall’Istat - ha affermato Maurizio Sacconi - è un refuso: non era intenzione né mia, né di Tremonti, né di Azzollini (il relatore, ndr). Sarà cancellato».
Che cosa prevedeva l’«emendamento-refuso» alla manovra economica? In sostanza, il riferimento all’età contributiva, oltre che a quella anagrafica, per maturare i requisiti di pensione a partire dal 2016. La norma di riferimento è quella approvata l’anno scorso, secondo cui l’età di pensionamento è legata alle aspettative di vita certificate dall’Istat. Insomma, se si vive più a lungo, si deve lavorare più a lungo: un principio di buon senso. A partire dal 2016 tutti i requisiti di pensionamento - età e contributi versati - sarebbero stati adeguati alla speranza media di vita. La relazione tecnica dell’emendamento ipotizzava uno slittamento di tre mesi al 1 gennaio 2016, poi quattro mesi per ogni aggiornamento triennale fino al 2030, e di nuovo tre mesi dal 2033 al 2050. Risultato: fra quarant’anni la vita lavorativa si sarebbe allungata di 3 anni e sei mesi rispetto ad oggi.
L’adeguamento delle pensioni alla speranza di vita, anche dal punto di vista dei contributi, avrebbe permesso risparmi per 7 miliardi e 80 milioni di euro fra il 2016 e il 2020. Ed avrebbe interessato circa 400mila lavoratori l’anno in media, sempre nel periodo 2014-2020. L’incidenza della spesa pensionistica rispetto al Pil sarebbe scesa progressivamente dallo 0,2% del 2016 fino allo 0,7% nel 2030. Per essere un «refuso», tutto era stato calcolato davvero con precisione.
Alla notizia della presentazione dell’emendamento Azzollini alla commissione Bilancio del Senato, i sindacati hanno eretto le barricate. Si sa che il relatore esprime il parere del governo, dunque la modifica è stata immediatamente attribuita a Tremonti che già l’anno scorso, con un blitz in manovra, aveva modificato il regime pensionistico con l’aggancio alle speranze di vita. La Cgil ha subito parlato di «follia», ricordando che già il testo originale della manovra prevede una «finestra mobile» che in alcuni casi allontana di qualche mese il pensionamento con 40 anni di contributi. Ma è stato decisivo il «no» della Cisl. Il segretario Raffaele Bonanni è sceso in campo in prima persona per rifiutare «una ulteriore penalizzazione per i lavoratori, ai quali la manovra già chiede sacrifici enormi». Insomma, Bonanni ha fatto capire che non c’erano le condizioni per un intervento del genere, aggiunto al blocco triennale dei contratti pubblici e alle altre misure d’austerità contenute nella manovra economica. Tutto questo a prescindere dalla sostanza.
In serata è dunque giunta la «smentita-refuso» di Sacconi. «Prendiamo atto delle opportuna e dovuta precisazione del ministro - ha subito commentato Bonanni -: sulle pensioni non era proprio il caso di creare allarmismi fra i lavoratori, a giudicare anche dall’enfasi con cui i mass media avevano rimarcato la notizia dell’emendamento sull’età pensionabile». Sarebbe stata una bomba atomica, sussurrano alla sede cislina di via Po.
Resiste invece, nell’emendamento Azzollini, l’allungamento fino a 65 anni dell’età lavorativa per le donne nel pubblico impiego.

La norma, imposta dall’Europa, interesserà circa 25mila impiegate pubbliche, e secondo la relazione tecnica procurerà minori spese per 1 miliardo e 400 milioni fino al 2020. Oggi il relatore Azzollini presenta i nuovi emendamenti riveduti, e l’ok della commissione Bilancio del Senato alla manovra fatalmente slitterà.

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