Roma - «Temporeggiare» e «cercare l’affondo ai ballottaggi». Ma mettendo nero su bianco che il voto amministrativo «è un segnale di sfiducia verso Romano Prodi» al quale - recita un documento di Forza Italia - «chiediamo di dimettersi». A tre giorni dal voto Silvio Berlusconi continua ufficialmente a tacere. E se con gli alleati ragiona delle prossime mosse per cercare di monetizzare il successo elettorale, per bocca del partito formalizza a futura memoria quella richiesta di dimissioni che in più d’una occasione ha accarezzato l’idea di presentare direttamente al presidente della Repubblica. Il voto, si legge nel documento buttato giù dai vertici di Forza Italia dopo una riunione fiume a Palazzo Grazioli insieme al Cavaliere, «è un ciclone che si è abbattuto sul governo» il cui responso è «inequivocabile» e «non può restare senza conseguenze politiche». E in serata, al termine di una cena, lo dice chiaro: «È una situazione che deve essere modificata e risolta dal presidente della Repubblica e dal presidente del Consiglio».
Ma sugli sviluppi futuri l’ex premier non ha però alcuna certezza, se a pranzo lui e Gianfranco Fini concordavano sul fatto che «nonostante tutto il pallino del gioco è in mano alla maggioranza». Così, davanti alle prime crepe che si stanno aprendo in queste ore tra Prodi e i leader dei partiti dell’Unione, i due decidono che «al momento la via migliore è quella di prendere tempo». Anche perché, confida l’ex premier a un dirigente azzurro, «non dobbiamo far passare l’idea che vogliamo a tutti i costi accelerare cercando il muro contro muro altrimenti non otterremo niente». Insomma, l’ipotesi di salire al Quirinale per chiedere nuove elezioni al momento non sembra essere più in agenda come pure la ventilata manifestazione di piazza. Sulla quale, si dicono Berlusconi e Fini, «è meglio aggiornarci a dopo i ballottaggi». Anche perché «sarebbe tecnicamente impossibile organizzarla di qui a metà giugno».
Con la maggioranza che sta iniziando a digerire la debacle elettorale e pare lentamente avviata verso un vero e proprio redde rationem («ormai - confida ai suoi il Cavaliere - è questione se non di giorni, di mesi...»), l’obiettivo è quello di cercare di assestare altri affondi. Ma senza urlare. Il primo potrebbe arrivare già il 6 giugno, quando il Senato dovrebbe discutere la mozione di revoca delle deleghe al viceministro Vincenzo Visco. Ma la strategia, concordano Berlusconi e Fini, «deve essere d’ampio raggio». Così, «non possiamo non puntare sui ballottaggi, Genova primo fra tutti». Alla presidenza della Provincia, infatti, l’uscente Alessandro Repetto si è fermato sì al 49%, ma la candidata del centrodestra Renata Olivieri è arrivata al 46,3. Insomma, «neanche tre punti». Tant’è che sia Berlusconi che Fini non mancheranno di tornare a Genova per chiudere la campagna elettorale, magari insieme a Umberto Bossi che dai microfoni di Radio Padania ieri è tornato a ventilare l’ipotesi di «salire al Quirinale per mettere le carte in tavola». Sulla quale, però, il più scettico di tutti è stato Fini. «Ma che gli andiamo a dire? Non vorrei - obietta il leader di An durante il faccia a faccia con il Cavaliere - che riscrivessimo lo stesso copione di febbraio». L’attenzione, dunque, è focalizzata soprattutto su Genova perché, si dicono Fini e Berlusconi, «se riuscissimo a portare a casa quella che da sempre è una Provincia rossa, per il governo sarebbe quasi il colpo del ko».
Ma si guarda anche più in là, senza escludere che l’agonia del governo possa anche essere lunga. Se Pier Ferdinando Casini invita gli alleati di Prodi ad «aprire una nuova fase» («con un’iniziativa politica dell’opposizione insieme ad alcuni settori della maggioranza il premier cadrà in Parlamento»), Berlusconi pensa già alla Finanziaria. «Se tirano a campare fino al prossimo autunno - confida - sulla manovra non reggeranno.
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