Napoli - L’immagine fa male. Due bambini, uno di un anno e l'altro di tre, sono stati «sbattuti» in una gabbia di un'aula della Corte di Appello del Tribunale partenopeo, come dei volgari delinquenti. La giustizia napoletana è di nuovo nella bufera. È successo giovedì scorso, davanti all'ottava Sezione davanti ai giudici, ai dipendenti giudiziari, agli avvocati e al pubblico. I bambini erano lì, dietro le sbarre del tribunale, con lo sguardo spaesato, carico di sconcerto e paura.
Una scena inconsueta, per certi aspetti, allucinante. Diciamo subito che, la madre, una nomade arrestata per evasione dagli arresti domiciliari, aveva espresso il desiderio di portare i figlioletti al processo. Ma, quando il Collegio si è accorto che il più piccolo dei due bimbi era in braccio alla mamma e l'altro vagava nella gabbia, è stato subito ordinato di toglierli dalla gabbia e farli accomodare su una panca, «guardati» da due agenti.
A provocare il caso è stato un avvocato (non il legale della zingara) presente nell'aula della ottava Sezione della corte di appello. Rievoca l'avvocato Luca Troncone: «Io, e altri mie colleghi abbiamo chiesto al presidente di farli uscire dalla “gabbia”. E cosi è stato». Da qui si è alzato un grido di scandalo contro il volto disumano della giustizia italiana.
Il giudice a latere dell'Ottava Sezione della Corte di Appello, Luigi Riello, spiega: «Posso garantire che la permanenza nella gabbia dei due bambini è durata solo alcuni minuti».
Su questa vicenda, il ministro della Giustizia Clemente Mastella, ha incaricato il capo dell'Ispettorato di via Arenula, di avviare accertamenti preliminari sulla vicenda della nomade, processata per furto ed evasione, i cui figli, di 1 e 3 anni, hanno assistito, rinchiusi in una gabbia assieme alla madre, al processo che si teneva presso la Corte d'Appello di Napoli. Gli ispettori inviati dal Guardasigilli chiederanno informazioni direttamente al presidente della Corte d'Appello di Napoli.
La legge prevede che la madre può chiedere di non essere separata dai figli: un diritto che una detenuta può comunque esercitare, decidendo di non lasciare alle operatrici del carcere i bambini. Secondo una prima ricostruzione dei fatti la detenuta sarebbe stata condotta in aula passando dalle camere di sicurezza del Tribunale: dunque i giudici non erano a conoscenza della presenza dei bambini insieme con la madre.
Spiega ancora il giudice Riello: «La traduzione degli imputati avviene dalle camere di sicurezza direttamente nell'aula dove c'è la gabbia e la Corte. Corte che non era a conoscenza della presenza dei figli accanto alla madre». Il giudice Riello ha poi rivelato: «La situazione ha lasciato profondamente sgomenti anche noi, infatti appena l'abbiamo vista è stata data disposizione dal presidente di aprire immediatamente la porta della gabbia e di farli accomodare sulla panca con l'assistenza di due poliziotte penitenziarie accanto al difensore».
Sgomento appare anche il procuratore generale, Vincenzo Galgano: «In 46 anni di mestiere questa è la prima volta che mi è capitato di vedere bambini rinchiusi in una gabbia. Anche al tempo in cui i trasferimenti avvenivano con le manette, se veniva portata in aula una mamma con figli, si faceva in modo da non mettere in mostra il suo status di imputata priva della libertà».
Il procuratore generale ha poi aggiunto che si tratta di «un caso circoscritto di modestissima entità dovuto forse alla distrazione e che, comunque, va visto nella sua oggettività». Il procuratore generale ha quindi auspicato che non vengano «alzati dei polveroni».
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