La Banca Mondiale «taglia» e le Borse si spaventano

Nessuno, almeno per ora, ha tirato in ballo «l’euforia irrazionale» di greenspaniana memoria. Perché basta forse l’eccesso di ottimismo, la prematura rimozione della parola «crisi» dal lessico ormai familiare per tutti, per spiegare il rally dei mercati finanziari dall’inizio di marzo fino al termine della settimana scorsa. Dall’11 giugno, però, la corsa si è bloccata. Come se sul percorso fossero riapparse all’improvviso buche, insidie e salite. Come se qualcuno avesse spostato più in là il traguardo di un nuovo ciclo espansivo. Il miraggio collettivo di una rapida recovery sembra così essersi dissolto. E con esso, è venuta meno la voglia di rialzo, mentre è aumentato l’impulso a pigiare il pulsante delle vendite. È la cronaca di ieri, simile a quella di tanti altri black monday, con i listini europei in calo tra il 2 e il 4% e 110 miliardi di euro di capitalizzazione svaporati; con Wall Street in ripiegamento (-2,3% il Dow Jones, -3,3% il Nasdaq) e il petrolio in ritirata sotto i 67 dollari il barile.
Se non pare in discussione la ripresa nel 2010, certo non mancano gli interrogativi su quale sarà la sua consistenza. Alle Borse lo ha ricordato ieri la Banca mondiale: non solo con un taglio netto delle stime sul Pil globale, ridotte dal -1,7% indicato a fine marzo all’attuale -2,9% (-4,5% Eurolandia, -3% gli Usa), ma con la sottolineatura posta sul fatto che siamo entrati «in un’era di crescita più bassa», in cui dovranno essere più serrati ed efficienti i controlli sul sistema finanziario. L’America, con la grande riforma della vigilanza finanziaria varata da Obama, si è già mossa in questa direzione; l’Europa un po’ meno, dovendo sottostare alle impuntature di Londra, timorosa di perdere il controllo su un settore da cui dipende l’8% della ricchezza nazionale.
Più che l’esigenza di uno stretto monitoraggio, a spaventare i mercati è stata la prospettiva di una crescita rachitica. La Banca mondiale prevede infatti un recupero del Pil globale del 2% nel 2010 e una ulteriore accelerazione - +3,2% - l'anno successivo. Ma da un focus più ravvicinato si scopre che la zona euro e l’America dovranno accontentarsi di un progresso limitato, rispettivamente, allo 0,5% e all’1,8% il prossimo anno e allo 0,9 e al 2% nel 2011.
C’è insomma quanto basta per mettere di malumore i mercati, condizionati in parte dall’esito della riunione della Fed di domani e da quanto dirà Ben Bernanke sullo stato di salute degli Usa, oltre che dall’avvertimento del Fondo monetario internazionale secondo il quale «la crisi non è finita». L’impressione, comunque, è quella che le Borse abbiano avuto, da marzo in poi, un’accelerazione troppo rapida. Milano ne è un esempio: il Ftse-Mib ha guadagnato il 63% dai minimi dello scorso 9 marzo fino al top toccato l’11 giugno. Da allora, e quindi in appena sette sedute, l’indice principale ha lasciato sul terreno circa il 10%. «Viene giù tutto», commentava ieri un operatore di fronte a una picchiata del listino pari al 4%, su cui ha però pesato lo stacco dividendi di titoli importanti come A2A, Teneris, Terna ed Enel.

«Dopo i mesi dell’ottimismo a tutti i costi - ha spiegato un analista - ci si comincia a chiedere quando e se arriverà davvero la ripresa dell’economia reale». In questa fase «si dà più peso ai segnali negativi», perché era attesa una frenata al rally partito a marzo. Anche se, probabilmente, non di simili proporzioni.

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