Meno utili, ma anche un taglio ai costi. Un patrimonio più solido. Un modello operativo fortemente tradizionale, quindi meno esposto verso attività oggi più che mai pericolose. L’Associazione bancaria italiana si consola così dalla crisi, sottolineando gli aspetti positivi della struttura del credito in Italia, che dal 2007 - anno in cui è scoppiata negli Stati Uniti la bolla immobiliare, primo evento deflagrante di un progressivo avvitamento delle economie - non ha registrato fallimenti nè ha avuto necessità di salvataggi pubblici. Agli unici strumenti utilizzati, gli aumenti di capitale e i cosiddetti Tremonti bond, non hanno nemmeno fatto ricorso tutte le grandi banche quotate. Si sono ridotti però gli utili, e sono aumentati i rischi.
L’Abi, che è presieduta da Corrado Faissola, ha fatto ieri il punto sui bilanci 2009 e del primo trimestre del 2010 e ha nuovamente avvisato sui rischi di una revisione delle regole internazionali come quelle di Basilea che vanno bene per le banche britanniche o americane che spingono sulle leva finanziaria, ma «puniscono» un sistema tradizionale come quello italiano che ha continuato a sostenere l’economia senza aiuti di Stato.
Il direttore generale dell’associazione, Giovanni Sabatini, ha presentato i numeri degli istituti: nel 2009 il sistema ha visto un calo dell’utile netto del 22,2% (che sconta inoltre un regime più severo sull’avviamento) e una crescita delle rettifiche a 20 miliardi. La redditività espressa dal Roe (il ritorno sul capitale), considerato anche il rafforzamento del patrimonio e il ricorso ai Tremonti bond (il Tier 1 è salito dal 6,89 all’8,2%), è sceso dal 5,3% al 4 per cento.
L’onda lunga della crisi colpisce anche nel primo trimestre le banche italiane che non possono beneficiare della ripresa dell’attività di trading delle rivali straniere ma scontano invece le sofferenze delle imprese. Nei primi tre mesi del 2010 così l’utile netto ha subito un ribasso del 27% a fronte di una crescita sostenuta in Francia e Germania. In Italia inoltre è aumentato il peso del costo del rischio (rettifiche su crediti e altre attività finanziarie) del 10% (peggio di noi solo la Spagna, più 12%) mentre nella media Ue il costo del credito è diminuito nel primo trimestre di quest’anno del 18%.
Per Sabatini comunque il modello operativo «classico» del nostro sistema, che destina agli impieghi oltre il 60% dell’attivo e solo il 20% alle attività finanziarie e si finanzia con la raccolta dal retail, «lo isola dalle turbolenze dei mercati e dal funding all’ingrosso».
Secondo il direttore generale così i livelli di patrimonio più alti chiesti a gran voce nel mondo per le banche, specie quelle che ricorrono con spregiudicatezza alla leva finanziaria, non sono necessari per quelle italiane «che per la loro struttura di business, la quantità e la qualità sono sufficienti e adeguati».
Quanto alle nuove norme allo studio, Sabatini è tornato a chiedere di considerare le diversità dei vari sistemi bancari nella loro redazione. Le nuove regole della finanza devono essere «chiare e di semplice attuazione». Il percorso, in questa fase, invece, «non avanza in modo ordinato». Sabatini non nasconde il rischio che le nuove misure «peggiorino la nostra posizione competitiva» in uno scenario che intanto non lascia spazio all’ottimismo. I dati del primo trimestre delle banche quotate (-27% l’utile netto) sono il segnale di un 2010 «ancora difficile».
Sabatini ha sottolineato che «in questa crisi l’Italia dimostra una solidità pari ai grandi Paesi europei».
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