Le banche rischiano lo stallo I sindacati: sciopero da luglio

Gli esuberi di Intesa Sanpaolo rappresentano la battaglia più delicata della «Grande guerra» del credito che quest’estate rischia di tradursi in una catena di scioperi non senza ripercussioni sull’operatività quotidiana con famiglie e imprese. L’«incendio» sociale potrebbe essere appiccato già a inizio luglio, aprendo una frattura in un sistema creditizio che finora era riuscito a gestire sia il percorso di fusioni e acquisizioni che ha portato alla nascita dei big nazionali, sia la crisi mondiale.
In gioco c’è in primo luogo il rinnovo del contratto dei bancari ma, malgrado le trattative non siano ancora iniziate dal punto di vista formale, i rapporti tra i sindacati e l’Abi sono stati esacerbati dalla «disdetta» del meccanismo che assicurava la volontarietà di accesso al «Fondo esuberi»: si tratta dell’ammortizzatore principe del settore che, secondo alcune stime, ha pagato dal 2001 l’assegno mensile a circa 35mila prepensionati. L’Abi osteggia il Fondo considerandolo troppo oneroso (in media 200mila euro a lavoratore per l’intero periodo, ma da spesare il primo anno) per gli attuali bilanci, già provati dalla strettoia di Basilea III e da una redditività ancora scarsa. Il caso di Intesa Sanpaolo, che nel nuovo piano industriale calcola 3mila esuberi e 5mila persone da riqualificare, dimostra però che il settore continua ad avere una marcata necessità di ristrutturare. Da qui lo scontro muscolare e preventivo oggi in corso.
In sede Abi, il dominus delle trattative è Francesco Micheli nella propria veste di capo delegazione sindacale di Palazzo Altieri. L’obiettivo ultimo dell’ex direttore generale di Intesa Sanpaolo e attuale superconsulente dell’ad Corrado Passera, sembra comunque quello di coniugare quell’idea di «efficienza» e di «innovazione» che il presidente Giuseppe Mussari ha voluto anche per la struttura dell’associazione. Dando maggior peso alle trattative aziendali, come sta facendo la Fiat di Sergio Marchionne. La strategia delle banche è legare gli aumenti contrattuali alla produttività (magari imponendo 1 ora al giorno di lavoro in più allo sportello e riducendo le ferie), ma agli occhi dei sindacati non avrebbe potuto esserci viatico peggiore dello strappo sul Fondo esuberi.
Il problema è la probabile introduzione di strumenti come l’indennità di disoccupazione: le banche, che ogni anno versano nelle casse dello Stato 240 milioni, vorrebbero infatti ora utilizzare il «cuscinetto» della Cig, ridisegnando il Fondo esuberi per coprire uno dei 5 anni previsti. Ipotesi però osteggiata dai sindacati, perché equivarrebbe ad avvallare dei licenziamenti. Tale strada è comunque tutta da verificare anche dal punto di vista politico, visto che ieri il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, pur dicendosi disponibile a mediare sulla vertenza, ha precisato che non ci dovranno essere «oneri pubblici». Il quadro è poi ulteriormente complicato dalle prove di forza tra i sindacati del settore e dai rapporti di «buon vicinato» tra i campioni del credito e le sigle ex confederali: con Unicredit, considerata più «vicina» alla Fisac-Cgil, e Intesa Sanpaolo da sempre più legata alla Fiba-Cisl. Una diarchia che ha iniziato a creparsi da quando la Fabi esprime una linea politica forte.
Al momento pare essere caduta nel vuoto anche la disponibilità dei sindacati di caricare sulle buste paga dei lavoratori parte del maggiore peso fiscale del Fondo (fino al 10%) conseguente al decreto Bersani pur di tutelare la «volontarietà» degli esodi. Ma se Micheli otterrà l’accordo sul contratto e la riforma del Fondo, Ca de’ Sass potrebbe «tagliare» il personale a un costo inferiore a quello finora pagato dai concorrenti.

A partire da Unicredit che lo scorso anno ha espulso 3mila prepensionati a fronte di 2mila assunzioni di giovani, ma si avvantaggia della maggiore internazionalizzazione sia per contenere il costo del personale sia per agganciare la ripresa in atto nell’Europa centro-orientale.

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