Guerra in Ucraina

"200 miliardi per Kiev": cosa può succedere ai fondi russi congelati

Usa e Ue pressano la Svizzera per confiscare fino a 200 miliardi di dollari in fondi russi e finanziare la ricostruzione ucraina. Ma Berna non vuole che la rispsota a Mosca sfoci nell'arbitrio

"200 miliardi per Kiev": cosa può succedere ai fondi russi congelati

Utilizzare i fondi russi congelati agli oligarchi russi per finanziare la ricostruzione dell'Ucraina travolta da quasi un anno di guerra e aggressione da parte del suo vicino? L'idea è emersa più volte nel dibattito politico dal 24 febbraio scorso in avanti. Ma ora potrebbe avere un primo momento di riflessione fattuale.

Ad aprire il discorso la Svizzera, Paese che sul piano del sostegno all'Ucraina ha rotto la sua pluridecennale, rigida neutralità perlomeno sul fronte sanzionatorio e si è conformata alla linea occidentale sul congelamento degli asset più controversi delle figure apicali del sistema di potere russo. Una mossa dettata da volontà di autotutela, per evitare di fare della Confederazione Elvetica la "Tortuga" dei fondi, leciti e neri, russi in fuga dalle sanzioni al pari di Turchia e Emirati Arabi Uniti. Ma su cui ora Berna ragiona in relazione ai prossimi passi: la Svizzera al 25 novembre 2022 aveva congelato 8 miliardi di dollari in asset e fondi russi (7,5 miliardi di franchi svizzeri).

Washington e Bruxelles fanno pressione su Berna perché la quota di fondi confiscati sia incrementata: lo ha riportato il Neue Zürcher Zeitung, che segnala come Usa e Unione Europea siano a caccia dei fondi della Banca centrale russa presenti all'estero. L'Odessa Journal ha sottolineato che "l'Ue e i Paesi del G7 hanno confiscato 300 miliardi di dollari in asset russi" e "i banchieri svizzeri stimano che il paese detenga ora circa 150-200 miliardi di franchi di beni russi", una quota compresa tra i 170 e i 210 miliardi di dollari.

Tra questi fondi, sospettano Usa e Ue, si potrebbero trovare i fondi occultati dalla Banca centrale russa a cui l'Occidente dà la caccia. Risorse che, in prospettiva, potrebbero tornare utili per finanziare la ricostruzione ucraina: gli Usa hanno già leggi ad hoc che indirizzano verso l'Ucraina i beni delle persone fisiche sequestrati. Ma, nota la testata guidata dall'italiano Ugo Poletti, "questo denaro appartiene formalmente a persone che non sono cadute sotto le sanzioni. Le autorità svizzere hanno già istituito un gruppo di lavoro incaricato di studiare la questione".

Il tema è scivoloso. La Svizzera è la nazione che più ha evoluto in senso propositivo la normativa sulla trasparenza finanziaria ed è un Paese ove la tutela delle proprietà è un perno della Costituzione. Al tempo stesso è il Paese ove sono state stipulate molte convenzioni internazionali di diritto finanziario, come i principi di governance di Basilea che danno alla rule of law un ruolo centrale. Le regole finanziarie che normano l'attività delle istituzioni private e pubbliche stabiliscono anche l'ingaggio in caso di fondi e asset sequestrati che nasce, tendenzialmente, dalla volontà di adottare misure cautelari provvisorie nei confronti delle risorse di coloro che sono sotto indagine per reati finanziari per evitare che i beni siano nascosti, spesi o venduti dagli indagati prima di definitiva sentenza di confisca.

Trattandosi, in questo caso, di una misura legata a sanzioni politiche la Svizzera teme che sdoganare il Far West della confisca dei beni russi per finanziare la ricostruzione ucraina generi reazioni dure e simmetriche sui beni occidentali nel Paese esteuropeo e crei un grave precedente sulla gestione delle norme di tutela della proprietà privata. Ogni regime, ogni leader antioccidentale e ogni governo in polemica con Ue e G7 potrebbe, per emulazione, congelare unilateralmente gli asset dei Paesi dell'Occidente, a rigor di logica, appellandosi a priorità politiche.

Accusare la Svizzera di ignavia sui fondi russi, sarebbe poi fuorviante. Il Corriere della Sera nota che Berna "si è allineata a praticamente tutte le sanzioni contro Mosca decise dalla Ue, ha dato asilo ai rifugiati ucraini, ha congelato i fondi di individui vicini a Putin, sostiene la ricollocazione di imprese ucraine medie e piccole fuori dalle zone più colpite dalla guerra e ha limitato il commercio di materie prime russe sul suo territorio (prima dell'invasione, più di tre quarti del petrolio di Mosca veniva scambiato a Ginevra". Ha elasticamente deviato a più componenti possibili della sua neutralità per evitare di trovarsi come un vaso di coccio, ma ora, come ha ricordato l'ex presidente della Repubblica e Ministro degli Esteri Ignazio Cassis si trova di fronte alla delicata questione della scelta tra la confisca totale, con conseguente violazione potenziale di principi cardine della sua Costituzione, dei beni russi e un approccio più pragmatico che può fare scuola. E ricorda che tra i miliardi di fondi russi ci sono anche i denari di chi ha lavorato onestamente per conseguirli e non può essere perseguitato per fini politici.

A patto di non trasformarsi in una copia sostanziale di quei regimi che, legittimamente e a buona ragione, in Occidente critichiamo per la loro arbitrarietà.

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