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Più che alle cronache siamo alle comiche

È il paradosso perfetto: ci si indigna per chi teme fughe di notizie, mentre si scrive grazie a una fuga di notizi

Più che alle cronache siamo alle comiche
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C'è qualcosa di ammirevole, quasi commovente, nello zelo con cui una parte della stampa italiana si ostina a tenere vive, quasi fossero sentenze di condanna, inchieste giudiziarie che somigliano sempre più a quei palloncini subito sgonfi che i bambini rincorrono convinti che prima o poi torneranno a volare. Prendiamo il commento di Massimo Giannini pubblicato ieri su Affari & Finanza, il settimanale economico di Repubblica. Un articolo costruito sul dileggio preventivo della relazione Consob che esclude l'esistenza del concerto nella vicenda Mps-Mediobanca. Non solo non ha individuato prove che il concerto ci sia, scrive Giannini, ma addirittura la Commissione osa scrivere che le prove peritate dimostrano che il concerto non c'è. Un oltraggio, evidentemente. Peccato che dal tono e dai contenuti del suo elaborato si capisca una cosa semplice: quella relazione Giannini non l'ha mai letta. Se lo avesse fatto, si sarebbe accorto del rigore quasi notarile con cui è stata confezionata, delle audizioni, delle verifiche, delle ricostruzioni puntuali. Altro che porto delle nebbie. Qui le nebbie sembrano piuttosto negli occhi di chi commenta per sentito dire. Ma il dettaglio più rivelatore è un altro: Giannini mostra di non aver letto neppure il decreto di sequestro della Procura di Milano. Un atto che, lungi dal rafforzare la tesi accusatoria, entra in rotta di collisione proprio con la relazione Consob. Un decreto che seleziona brandelli di intercettazioni, estratti chirurgicamente dal contesto, evitando con cura di fornirne la lettura completa. Chissà perché. Quanto poi al mitologico Banchiere Anziano, evocato come un oracolo che sussurra verità indicibili, siamo ormai alla letteratura fantastica. Non esiste, non è mai esistito, e comunque nessuno ci crede più. È Giannini che parla, ma sembra vergognarsene.

Si passa poi al Fatto Quotidiano, dove Gianni Dragoni tenta di enfatizzare gli effetti deleteri della relazione Consob sulla Borsa chiamando a testimone Giuseppe Bivona. Un nome che, nella finanza milanese, evoca tutto tranne che autorevolezza. E con quale obiettivo? Insinuare che la pubblicazione sul Sole 24 Ore della relazione Consob possa configurare una manipolazione informativa. Qui siamo al capolavoro dell'ipocrisia. Il Fatto, ribattezzato da anni La Gazzetta delle Procure, pubblica atti coperti da segreto istruttorio con una regolarità svizzera, e oggi si straccia le vesti perché una relazione amministrativa viene raccontata da un quotidiano economico. Serve davvero una faccia tosta non comune per arrivare a tanto.

Infine il Corriere della Sera con Luigi Ferrarella, che racconta con tono scandalizzato del ricorso sacrosanto di Luxottica, la quale intende tutelare la privacy aziendale e i segreti industriali che possono emergere dal cellulare sequestrato al ceo Francesco Milleri. Come fosse cosa inaudita dubitare della capacità di riservatezza della Procura. Il tutto mentre il giornalista pubblica una notizia riservata che può provenire solo dagli uffici giudiziari, visto che nessun avvocato di parte avrebbe interesse a diffondere la notizia.

È il paradosso perfetto: ci si indigna per chi teme fughe di notizie, mentre si scrive grazie a una fuga di notizie. Siamo alle comiche di Petrolini.

Così, tra concerti fumosi, incontri immaginari, intercettazioni ammaestrate e segreti industriali spiattellati

con pudore indignato, resta una sensazione netta: più che raccontare i fatti, qualcuno sta cercando disperatamente di salvarne la sceneggiatura. Anche se il film, ormai, rischia seriamente di finire senza titoli di coda.

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