Banchieri e broker sono i nuovi gangster dei film americani

Effetto crisi Numerose pellicole mettono nel mirino il mondo degli affari

Banchieri e broker sono i nuovi gangster dei film americani

E sistono banchieri e broker buoni? Quando investiamo, possiamo fidarci di chi ci consiglia? L'imprenditore è una figura ammirevole? Il libero mercato è effettivamente libero? Se dovessimo basarci solo sui film provenienti dagli Stati Uniti, la risposta a ogni singola domanda sarebbe negativa. Sono ormai numerose le pellicole provenienti da Hollywood e dintorni dedicate alla crisi economica cominciata nel 2007 con lo scoppio della bolla immobiliare. I fatti sono noti: il sistema finanziario entrò in fibrillazione, Wall Street crollò, Lehman Brothers chiuse i battenti, la recessione si estese dagli Usa al resto del mondo con effetti devastanti e persistenti. Ma chi può dire, al di fuori della cerchia dei tecnici, di avere davvero capito fino in fondo cosa è accaduto? Molti registi hanno provato a indagare su cosa sia successo e si sono lasciati affascinare dall'argomento. L'ultima, in ordine cronologico, è stata Jodie Foster nel recente Money Monster. L'altra faccia del denaro. George Clooney interpreta il conduttore di uno show televisivo sull'economia. Si direbbe un mago della Borsa ma incappa in un incidente: consiglia di puntare sul titolo sbagliato. Rapito da un piccolo risparmiatore finito sul lastrico, sarà costretto ad aprire gli occhi su certi stimati affaristi. Money Monster è un thriller, ma ci sono pellicole che tentano davvero di spiegare ciò che molti cittadini non hanno capito. Ad esempio, cos'è un mutuo subprime? Perché questo oggetto misterioso e immateriale ha provocato danni concretissimi? I chiarimenti migliori arrivano da La grande scommessa di Adam McKay, non per caso film premiato con l'Oscar alla miglior sceneggiatura non originale nel 2015. Al centro, ci sono i pochi broker che capirono quanto fosse fragile il sistema finanziario e di conseguenza iniziarono a scommettere sul crollo. In una scena, un dipendente della Deutsche Bank, interpretato da Ryan Gosling, mostra, con le costruzioni per bambini, cosa sia una obbligazione garantita da un mutuo subprime: un edificio senza fondamenta. Ne La grande scommessa sono tutti cattivi o almeno ambigui. Quando il palazzo cede, i «visionari» si arricchiscono sulla tragedia altrui.

Il fallimento di Lehman Brothers e le manovre del governo per evitare il collasso degli altri colossi sono al centro di Too Big to Fail (2011), film per la televisione diretto da Curtis Hanson e scritto dal giornalista Andrew Ross Sorkin. Centrale il ruolo di Henry Paulson (William Hurt), il segretario al Tesoro di George W. Bush, indeciso se lasciare fallire o soccorrere gli istituti. Morale, rivelata dal titolo: certe banche sono troppo grandi per lasciare che chiudano. E pazienza se sono le responsabili dello sfacelo che tocca i cittadini, troppo piccoli per essere salvati. Le banche come luogo di speculazione ai danni dei propri clienti sono ritratte anche in Margin Call (2011), scritto e diretto da J.C. Chandor.

Il broker spregiudicato è protagonista dello scatenato The Wolf of Wall Street di Martin Scorsese (solito Oscar mancato per Leonardo DiCaprio) e Wall Street 2 di Oliver Stone, sequel del «capostipite» del genere, quel Wall Street che introduceva l'irresistibile Gordon Gekko (Michael Douglas). Uno speculatore cinico ma carismatico al punto da diventare un modello «positivo» di avidità. Un effetto collaterale non calcolato dal regista. Altrettanto cinico e avido è il mediatore immobiliare di 99 Homes, film del 2014 di Ramin Bahrani con Andrew Garfield: per conto delle banche, rastrella le case di chi non può pagare il mutuo a causa della recessione provocata... dalle banche stesse.

L'elenco potrebbe continuare, vedi scheda in questa pagina, ma chiudiamo con alcuni film di segno (quasi) opposto. Manipolatore ma innovatore «eroico» è l'imprenditore Steve Jobs, interpretato da Michael Fassbender nel Jobs (2015) del premio Oscar Danny Boyle. Innovatrice «eroica» e compiuta incarnazione del sogno americano è Joy Mangano (Jennifer Lawrence), la casalinga che creò il Miracle Mop, un mocho auto-strizzante, diventando milionaria.

Ha un punto di vista diverso anche The Company Men (2010) di John Wells: qui i cantieri navali si trasformano in una moderna azienda coinvolta in fusioni e investimenti lontani dal campo d'azione originario. I vecchi manager, che hanno conosciuto il lavoro manuale, sono destinati a essere spazzati via da una nuova generazione che fa soldi (forse) con i soldi.

La soluzione? Ripartire e riscoprire i fondamentali: rilanciare i cantieri, ritrovare un legame con la cosiddetta economia reale, rinunciare, eventualmente, a guadagni stellari e immediati. Ma si può tornare indietro? I lugubri cantieri abbandonati in chiusura del film non lasciano ben sperare.

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