La bandiera del Tibet conquista De Ferrari

(...) di Massimiliano Lussana, la latitanza dei pacifisti, la scomparsa dell’arcobaleno, nel senso di quella bandiera prima quasi onnipresente ad ogni finestra e ora improvvisamente riposta per non urtare la sensibilità dei compagni cinesi intenti a sterminare il popolo tibetano. Sarà una coincidenza, appunto, ma ieri sulla facciata di Palazzo Ducale è stata esposta una enorme bandiera del Tibet. Le scelte di Palazzo Ducale, detto per inciso, sono prese dalla Fondazione cultura del Comune di Genova, presieduta da Luca Borzani. Chapeau all’ex assessore. E trionfo delle coincidenze, che permettono almeno a Genova di mostrare nel suo salotto buono un po’ di solidarietà a quel popolo umiliato e violentato. E pazienza se dall’altro balcone che dà su De Ferrari, dall’ufficio del governatore Claudio Burlando, non sventola neppure uno straccetto arcobaleno che qualche comunicato con triplo salto mortale carpiato avrebbe persino potuto far passare, rigorosamente in forma implicita, come ripudio di ogni forma di sopruso a prescindere dall’autore.
In Regione ci pensa almeno il presidente dell’assemblea legislativa, Mino Ronzitti, a dimostrare coerenza. Visto che la vicinanza al Dalai Lama non la considera un sentimento a intermittenza. E dopo averlo incontrato durante la sua presenza in Italia, ieri è tornato a scrivere al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, per ringraziarlo delle pressioni fatte sul governo Prodi tuttora in carica e sull’Unione Europea affinché battano un colpo. Lo ha fatto a nome suo «personale e dell’ufficio di presidenza». Non proprio tutto il consiglio regionale, probabilmente, avrebbe sottoscritto gli stessi concetti contro i compagni cinesi. Non una firma sola avrebbe invece messo Gianni Plinio, anch’egli presente all’incontro con il Dalai Lama il 16 dicembre. Il capogruppo di An ieri era per strada, in via Venti Settembre, per fare sì che di firme ne arrivassero a centinaia. E in due ore sono stati oltre 500 i genovesi che hanno risposto al suo appello. «Anche due liceali che si sono detti di sinistra, pronti a votare Veltroni, hanno voluto firmare - sottolinea orgoglioso Plinio -. Una grande prova di maturità. Una dimostrazione che lo sdegno per l’intervento del governo cinese è un sentimento trasversale, senza etichette politiche, come senza etichette era la nostra raccolta firme». Durante l’iniziativa si è a lungo fermata davanti al banchetto anche una giovane donna cinese, molto ben preparata, che parlava un italiano corrente, ma che non ha voluto firmare. Solo guardare bene quello che accadeva.
I segnali giunti dalle istituzioni finiscono qui. Coincidenza o no, sono una prima crepa che si è aperta nel muro del silenzio. Non certo nel muro del silenzio del Giornale. Che ancora ieri ha ricevuto numerosi interventi dei lettori, tutti scandalizzati per il silenzio assordante intorno alla vicenda.

Celso Vallarino non dimentica anche le colpe dei giornali di sinistra, Enrico Ghigino cerca qualcuno dei «rivoluzionari della domenica» improvvisamente spariti quasi avessero «mangiato carne di struzzo». Claudio Papini plaude all’iniziativa di Enrico Musso e Gianni Plinio. Citarli tutti adesso è impossibile. Credere alle coincidenze no.

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