"Sono stato il Musk italiano. Ma il tagliatore finisce tagliato"

Cottarelli: "La spending review? Mi fecero fare solo fino a un certo punto"

"Sono stato il Musk italiano. Ma il tagliatore finisce tagliato"
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Elon Musk ha resistito quattro mesi. Lei?

«Io un anno circa, ma Musk è più veloce in tutto. È arrivato fra squilli di tromba planetari, ha promesso di tagliare la cifra monstre di due trilioni di dollari, è già fuori».

Professor Carlo Cottarelli, qual era il suo obiettivo?

Il Presidente dell'Osservatorio sui conti pubblici italiani dell'Università Cattolica, sorride: «Un po' più modesto. Diciamo due punti di Pil di allora, 2014, circa 32 miliardi di euro, oggi sarebbero almeno 40».

Chi la chiamó?

«Enrico Letta. A fine 2013 fui nominato Commissario alla spending review, con terminologia inglese».

I propositi erano ambiziosi.

«Certo, far dimagrire lo Stato. Ci aveva già provato Enrico Bondi, dopo di me sono venuti altri. La prima proposta è stata la centralizzazione delle spese, ma intanto Letta era caduto».

Arriva Matteo Renzi. Lei va avanti?

«Sì, il suggerimento viene accolto, ma anche annacquato. In ogni caso, la Consip ha calcolato che questa riforma, per quanto dimezzata, ha portato al risparmio di 1,6-1,7 miliardi l'anno. Però le tante centrali di spesa sono rimaste, come stati sovrani, ciascuno geloso della propria autonomia. Pensi a quelle delle regioni».

Il secondo capitolo?

«La riduzione drastica delle partecipate locali. Anche qui mi hanno lasciato fare fino a un certo punto».

Quale?

«Molto modesto. Da 7700 a 6600. Sono scomparse le partecipate che già erano agonizzanti o morte, scatole vuote o poco più».

Resistenze?

«Certo, perché se disboschi quel mondo, fai fuori tutto un sistema di potere. Ma non è solo quello».

Dove ci si è arenati?

«Dove si arenano un po' tutti i Commissari alla spesa. Non solo sulle spese o sugli acquisti, ma sui trasferimenti».

Trasferimenti?

«Sì, un imprenditore pensa a tagliare le spese per il personale e gli acquisti, lo Stato stacca assegni. Per esempio le pensioni».

Professore, lei voleva intervenire anche lì.

«Si, e qui siamo al cuore della questione che nessuno, nemmeno Musk, è riuscito a risolvere. Nessun governo ha mai chiesto il mandato agli elettori per tagliare le pensioni o la sanità».

Nemmeno Trump.

«Nemmeno lui. Io volevo intervenire sulle pensioni, ma ho capito che la strada era bloccata. Per carità, avevo proposto un efficientamento della macchina statale, per esempio con la riorganizzazione di tutte le forze di polizia e poi avevo immaginato la riduzione dei piccoli Comuni e tanto altro, ma il punto è sempre quello: riduco la spesa per tagliare le tasse. Ma se il governo ha paura di perdere i consensi e pezzi di elettorato, allora non si va da nessuna parte».

È sempre andata così?

«Si, l'unica eccezione che vedo è quella di Milei che è arrivato con la motosega e un programma forte ma è l'unico».

Qualche risultato l'ha ottenuto?

«Sì, ma non quello che speravo. Io avevo stimato che con le mie forbici avrei tolto dai loro incarichi circa 80mila persone».

Tutte da licenziare?

«No. E infatti immaginavo che almeno in parte sarebbero state dirottate altrove, magari coprendo funzioni che lo Stato di solito affida ai privati».

Per esempio?

«La sicurezza nei Palazzi di giustizia, delegata alle guardie giurate, ma non siamo andati lontano. Venne scritto anche un decreto per censire quelle funzioni che lo Stato avrebbe potuto riprendersi dai privati, ma fu redatto in modo astruso e incomprensibile».

Sabbia negli ingranaggi?

«Sabbia negli ingranaggi».

Dopo un anno?

«Altri hanno preso il mio posto: prima Roberto Perotti, poi Yoram Gutgeld, ma anche loro, come Musk, non hanno avuto carta bianca. Per dirla con una battuta, sono stati tagliati i commissari, oppure i tagliatori hanno tagliato la corda».

Oggi?

«La spesa è salita al 50,8 per cento del pil. Più di allora. Troppo. E la pressione fiscale è al 42,6 per cento, appena sotto il picco del 43 per cento raggiunto col governo Monti. Ci sono i tagli lineari, ma garantiscono un paio di miliardi l'anno, non di più».

Lei fra il 28 e il 31 maggio 2018 è stato Presidente del consiglio incaricato.

«Ero la riserva nelle mani di Mattarella, nel caso non si fosse riusciti a

far nascere un esecutivo politico. A un certo punto sembrava che non ci fossero alternative alla mia persona. Io invece insistetti: Facciamo un ultimo tentativo. Di Maio e Salvini si misero d'accordo e nacque il Conte uno».

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