Roma - Non c'è pace per la miniserie La leggenda del Bandito e del Campione in onda lunedì e martedì in prima serata su Raiuno e dedicata al criminale «nemico pubblico numero uno» Sante Pollastri (interpretato da un fascinoso Beppe Fiorello) e al ciclista «campionissimo» Costante Girardengo (Simone Gandolfo). Ieri Il Giornale, nel giorno in cui la fiction veniva presentata, ha dato conto delle accuse di falsità storica da parte della nipote di Girardengo, Costanza, che hanno trovato puntuale riscontro dopo la visione della prima puntata in cui, ad esempio, viene totalmente inventato un personaggio femminile, Mela, di cui tutt’e due s’innamorano (un po’ alla Jules e Jim) e il personaggio del brigante Sante quasi santificato. Come nell'episodio di una rapina in banca finita a tarallucci e vino, con Pollastri che traveste il direttore da bandito e lo fa arrestare dai Carabinieri. Peccato che in realtà le cose siano andate diversamente.
E il caso vuole che nella platea di giornalisti al Circolo sportivo Rai sieda una collega, Mariangiola Castrovilli, in passato collaboratrice del Giornale e nipote di quel funzionario di banca che racconta: «Mio nonno è stato la prima vittima di Pollastri. Nella fiction si salva, in realtà è stato ucciso a sangue freddo mentre implorava di non premere il grilletto perché aveva tre figli. Che poi erano mia madre Irma di dieci anni e i miei zii, Ezio, di sette, e Ettore, di quattro. Mia nonna è morta di crepacuore pochi mesi dopo. Sono sconvolta, un dolore che credevo sopito è tornato con tutta la sua forza».
Una testimonianza sconvolgente, accompagnata anche dal pianto, che ha raggelato i presenti, dal direttore di Rai Fiction Fabrizio Del Noce al produttore Mario Rossini, al regista Lodovico Gasparini, allo stesso Beppe Fiorello in qualche modo chiamato in causa. Imbarazzo generale e microfono per la risposta che passa di mano in mano come una patata bollente fino ad arrivare allo sceneggiatore Andrea Purgatori (in coppia con Debora Alessi): «E' difficile se non impossibile rendere giustizia alle cose come realmente avvengono. Non abbiamo ammorbidito Pollastri, ma abbiamo lavorato su altri aspetti, l'amicizia fra due persone molto legate ma profondamente diverse. E' un racconto per favola». Che poi è la stessa posizione di Del Noce: «E' una fiction, non un documentario, con una libera interpretazione dei fatti». Così libera come la dicitura «liberamente ispirato» a Il campione e il bandito (Il Saggiatore), il bel libro di Marco Ventura, molto più vicino alla realtà storica della miniserie, in cui peraltro l'episodio dell'uccisione, il 14 luglio 1922, del cassiere della Banca agricola italiana, Achille Casalegno, è raccontato per filo e per segno. Ricorda la nipote che ora lavora per il Corriere canadese: «Vengo da Toronto e non conoscevo l'argomento della fiction, ero tranquilla, poi vedo i primi fotogrammi con Pollastri e lo stomaco mi va in tilt. Tremavo mentre riaffiorava la tragedia familiare con mia madre piccola e i due fratellini orfani sbattuti in collegio. Senza più amore, senza più nessuno. Mia madre mi diceva sempre “beata te che hai la mamma“. Forse per questo mi è stata vicinissima seguendomi anche in capo al mondo nei miei reportage per la Rai». Mariangiola Castrovilli non contesta troppo la fiction anche se, certo, «c'è la figura addolcita di un eroe del male». Aggiunge che, come gli ha detto affettuosamente Beppe Fiorello, «il dolore non sarebbe cambiato se la sequenza fosse stata rispondente alla realtà e non edulcorata». Anzi.
La mamma di Mariangiola è morta tragicamente in un incidente di macchina, oggi gli zii non ci sono più, ma Sante Pollastri rivive sullo schermo. E anche questo non può non far male.
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