Negli anni passati la cronaca internazionale ha riportato diverse volte notizie riguardanti principesse arabe misteriosamente scomparse, fuggite, o in pericolo di vita per essersi ribellate alla volontà dei parenti maschi. Ricordiamo, per esempio, le richieste di aiuto della principessa di Dubai Latifa, i suoi tentativi e quelli della sorella maggiore, Shamsa, di rifarsi una vita lontano dalla corte del padre, l’emiro Mohammed bin Rashid al-Maktum. Fughe che sarebbero terminate con ritorni forzosi a Palazzo e persino sequestri di persona. Impossibile dimenticare, poi, la fuga rocambolesca di Haya, la moglie dell’emiro, da Dubai al Regno Unito, nel 2019 e il divorzio milionario. Contrariamente a quanto molti possano pensare, però, questi non sarebbero gli unici casi di opposizione nelle corti arabe e islamiche. Soprattutto non si tratterebbe di sfide per l’emancipazione lanciate esclusivamente da donne. Le storie di presunto rapimento di tre principi della Casa Reale saudita mostrerebbero quanto, purtroppo, può essere alto il prezzo della libertà.
“Drogato e rimpatriato”
Il 12 giugno 2003, riporta la Bbc in un articolo del 2017, il principe saudita Sultan bin Turki bin Abdulaziz al-Saud, che all’epoca viveva a Ginevra da circa un anno per sottoporsi a delle cure mediche, si sarebbe recato in un palazzo fuori città di proprietà di suo zio, il defunto Re d’Arabia Saudita Fahd. Sarebbe stato proprio il figlio del sovrano, il principe Abdulaziz bin Fahd, a invitare Sultan per una colazione di lavoro. Durante l’incontro Abdulaziz avrebbe chiesto all’ospite di far ritorno al più presto a Riyadh per risolvere un dissidio con il Re.
Sultan, infatti, avrebbe rilasciato alcune interviste scottanti, criticando senza mezzi termini la linea politica della monarchia saudita, accusando di corruzione i leader del Paese e chiedendo riforme e maggiori libertà per la società. Il principe, però, si sarebbe rifiutato di rientrare in patria. Dopo il cortese ma categorico rifiuto Abdulaziz si sarebbe allontanato con la scusa di dover fare una telefonata importante. Poco dopo lo avrebbe seguito anche lo Shaikh Saleh al-Shaikh, ministro saudita per gli Affari Islamici, l’unica altra persona presente nella stanza in quel momento. Sultan sarebbe rimasto solo, ma per pochi istanti. Diversi uomini a volto coperto avrebbero fatto irruzione nella sala per poi picchiarlo e ammanettarlo. Prima di perdere i sensi il principe avrebbe avvertito l’ago di una siringa sul collo.
Stando alla ricostruzione fatta dallo stesso Sultan anni dopo, di fronte a un tribunale svizzero, sarebbe stato portato all’aeroporto di Ginevra e da lì messo su una aeroambulanza MedEvac (ovvero Medical Evacuation, specializzato nel trasporto urgente di pazienti) diretta a Riyadh. Il Guardian specifica che si sarebbe trattato di un Boeing 747. Il principe affermò che l’aggressione subìta a Ginevra gli avrebbe procurato gravi problemi di salute, alcuni permanenti.
Eddie Ferreira, addetto alle comunicazioni di Sultan bin Turki, ricordò la lunga, vana attesa del ritorno del suo datore di lavoro in un hotel di Ginevra: “Man mano che passavano le ore il silenzio diventava assordante. Non riuscivamo a raggiungere il team della security. Quello fu il primo segnale di allarme. Provammo a contattare il principe: nessuna risposta”. Alla fine “l’ambasciatore saudita in Svizzera arrivò con il direttore dell’hotel e disse semplicemente che tutti dovevano lasciare l’attico e andarcene. Il principe era a Riyadh, [quindi] i nostri servizi non erano più richiesti…”.
Il secondo, presunto rapimento
Nel 2010 La Casa reale saudita avrebbe concesso a Sultan di partire alla volta di Boston, per sottoporsi a delle cure mediche. Una volta arrivato negli Stati Uniti il principe si rivolse a un tribunale svizzero, raccontando la storia del suo primo rapimento. Era la prima volta che un aristocratico saudita accusava pubblicamente la sua stessa famiglia, facendo persino i nomi dei presunti colpevoli. La vicenda, però, non avrebbe avuto alcun seguito, almeno dal punto di vista legale.
Il 1° febbraio 2016, però, scrive il Guardian, il principe Sultan bin Turki sarebbe stato vittima di un secondo rapimento a opera delle autorità saudite. A Parigi l’uomo e il suo staff sarebbero saliti su un aereo diretto al Cairo: Sultan, infatti, avrebbe voluto far visita a suo padre, un dissidente vivrebbe in esilio nella capitale egiziana. Per l’occasione avrebbe anche prenotato delle stanze al Kempinski Hotel del Cairo. Solo che né lui, né i suoi collaboratori sarebbero mai giunti a destinazione. Secondo un socio di Sultan l’aereo avrebbe avuto “una bandiera saudita sulla parte posteriore” e forse “arrivava dal Regno”. Stando alla ricostruzione della Bbc sarebbe stato il consolato saudita a “offrire” al principe l’uso di questo jet privato.
Un’altra testimonianza sottolinea che al nobile sarebbe stato garantito l’arrivo al Cairo, ma un suo amico, citato dal Guardian, avrebbe affermato: “Durante la nostra ultima chiamata [Sultan] rideva e per scherzo mi ha detto: ‘Dovrei arrivare al Cairo questa settimana su un aereo reale. Se non mi trovi, vuol dire che mi hanno portato a Riyadh. Prova a fare qualcosa’". Poi più nulla. Le frasi inquietanti pronunciate dal principe non spiegano per quale ragione questi avrebbe accettato di salire sul velivolo se sospettava che si trattasse di un tranello. Soprattutto considerando il precedente del 2003. Non è escluso che il principe sia essere stato costretto, in maniera più o meno diretta, a prendere quell’aereo, ma al momento non esisterebbero prove al riguardo. La misteriosa scomparsa di Sultan bin Turki bin Abdulaziz ebbe grande eco mediatica, ma non sarebbe un caso isolato.
“Non ti toccheranno”
Al principe Turki bin Bandar al-Saud sarebbe toccata una sorte molto simile a quella del principe Sultan. Turki avrebbe avuto incarichi di spicco nella polizia saudita, ricorda la Bbc. A causa di una presunta faida familiare per un’eredità sarebbe stato arrestato e imprigionato. Dopo il suo rilascio Turki sarebbe partito per Parigi dove avrebbe chiesto asilo politico nel 2009, come spiega il Guardian.
Nel marzo 2011 avrebbe iniziato a pubblicare su Youtube dei video che contestavano l’autorità della famiglia reale al-Saud. Nel 2012, però, il principe avrebbe ricevuto la telefonata del ministro dell’Interno saudita Ahmed al-Salem, il quale gli avrebbe proposto di tornare in patria e risolvere i dissidi. Turki, diffidando delle intenzioni del ministro, avrebbe avuto la prontezza di registrare la chiamata. Durante la conversazione il principe avrebbe dichiarato: “Non vedi l’ora che io ritorni? E cosa mi dici delle lettere che i tuoi ufficiali mi hanno mandato, [in cui hanno scritto:] ‘Tu, figlio di…ti riporteremo indietro come Sultan bin Turki”. Ahmed al-Salem avrebbe risposto: “Non ti toccheranno…”, ma l’altro avrebbe replicato: “No, sei tu a mandarli. Li manda il ministro dell’Interno”.
Il principe Turki avrebbe continuato a pubblicare video critici fino al luglio 2015, poi sarebbe misteriosamente scomparso. Stando alle ricostruzioni del Guardian sarebbe partito per un viaggio di lavoro in Marocco. Un membro dell’opposizione saudita, però, sostiene che le autorità marocchine avrebbero “riconsegnato [il principe] ai sauditi”.
Un amico di Turki bin Bandar, l’attivista Wael al-Khalaf, citato dalla Bbc, disse in proposito: “Mi chiamava ogni mese o due. Poi scomparve per quattro o cinque mesi. Mi insospettii. Successivamente un alto funzionario del regno affermò che Turki bin Bandar era con loro. Quindi lo avevano preso. Era stato rapito”. Al-Khalaf raccontò anche di aver letto su un giornale marocchino che il principe sarebbe stato arrestato mentre stava per tornare a Parigi. Sembra che prima di sparire Turki avrebbe consegnato all’attivista il libro al quale stava lavorando con una nota in cui si dichiarava certo del fatto che i sauditi lo avrebbero “rapito o…assassinato. So anche come abusano dei miei diritti e di quelli del popolo saudita”.
Tweet pericolosi
Nel marzo 2014, ricorda il Guardian, un terzo principe, Saud bin Saif al-Nasr, avrebbe cominciato a scrivere dei tweet contro la Casa reale saudita. Ben presto i post si sarebbero intensificati. Addirittura, il 5 settembre 2015, Saud sarebbe stato l’unico reale a sostenere pubblicamente le posizioni di un altro principe che, mantenendo l’anonimato, aveva scritto un tweet in cui auspicava un colpo di Stato in Arabia Saudita e il rovesciamento di Re Salman.
Dal 9 settembre successivo Saud avrebbe improvvisamente smesso di pubblicare post. Nessuno sa cosa sia accaduto dopo quella data. Secondo una fonte, citata dal Guardian, il nobile saudita avrebbe preso un jet diretto in Italia, o meglio, che lui pensava fosse diretto nel nostro Paese, dove avrebbe dovuto incontrare un gruppo di imprenditori russo-italiano. Il velivolo, però, avrebbe condotto Saud a Riyadh.
Il principe Khaled bin Farhan, fuggito in Germania nel 2013, riportò una versione dei fatti leggermente diversa, ripresa dalla Bbc. Il principe Saud sarebbe arrivato in Italia, poi avrebbe preso un volo interno da Milano a Roma. L’aereo, però, “non atterrò a Roma, bensì a Riyadh”, specificò Khaled, aggiungendo: “…Ora il destino del principe Saud è lo stesso del principe Turki, ovvero la prigione…L’unico destino è una prigione sotterranea”.
Dove sono i tre principi ribelli?
Nessuno sa cosa sia accaduto ai principi Sultan, Turki e Saud. Da anni non ci sono notizie sul loro conto. Tutti e tre hanno criticato l’istituzione monarchica e la politica del loro Paese. Tutti e tre sembrano misteriosamente spariti nel nulla. Per i media l'oblio sulla loro sorte sarebbe direttamente collegato alle loro denunce. La scomparsa sarebbe una conseguenza del dissenso. Nell’ottobre 2018 la Bbc scrisse un aggiornamento al pezzo pubblicato nel 2017, riportando la notizia del ritorno dei tre principi in Arabia Saudita, confermata dall’ex capo dell’intelligence del Paese, il principe Turki al-Fasial.
Questa, però, è l’ultimo dato ufficiale sul loro conto e non spiega cosa sarebbe accaduto ai nobili ribelli dopo il ritorno in patria.
Nello stesso aggiornamento Khaled bin Farhan rivelò di aver saputo da insider di corte che i principi Turki bin Bandar e Saud bin Saif al-Nasr sarebbero stati condannati a morte e uccisi. Non esiste alcuna conferma a queste indiscrezioni. Non ci sono né indizi, né tantomeno prove sul loro destino. Solo un silenzio inquietante.