Bank of America si mangia Countrywide

da Milano

Lo scorso agosto, nel pieno del ciclone subprime, aveva scommesso due miliardi di dollari. Adesso, Bank of America (Bofa) ha deciso di metterne sul piatto altri 4,1 e di portarsi a casa l’intero capitale di Countrywide Financial, ex colosso Usa dei mutui in odore di fallimento, pesantemente bastonato da Wall Street. Dove in pochi credono ancora nella sua resurrezione finanziaria e in molti aspettano con qualche trepidazione la prossima settimana, quando le più importanti banche a stelle e strisce toglieranno il velo dai conti dell’ultimo trimestre, la miglior cartina di tornasole per valutare quale impatto ha avuto sui bilanci la crisi dei prestiti ad alto rischio di insolvenza.
Solo il tempo dirà se Bofa ha fatto un affare, pagando Countrywide praticamente a prezzi di saldo (dal primo intervento effettuato la scorsa estate, il titolo ha bruciato il 57% del proprio valore), oppure se in cassaforte ha collocato una bomba a orologeria. Intanto, l’istituto guidato da Kenneth Lewis dovrà gestire oneri di ristrutturazione superiori a 1,2 miliardi; in prospettiva, sarà costretto a confrontarsi con i tempi incerti di ripresa del mercato del mattone Usa e, più in generale, con il singhiozzante andamento dell’economia Usa, sorretta dalla duplice stampella offerta dalla Federal Reserve e dall’amministrazione Bush, ma comunque a rischio di recessione.
Bofa sembra tuttavia avere le spalle sufficientemente larghe per reggere il colpo. In quattro anni, la banca non ha badato a spese, investendo oltre 100 miliardi per mettere sotto la propria ala Fleet Boston Financial, la società di carte di credito Mbna e sfilare La Salle Bank agli olandesi di Abn Amro.
Il caso Bank of America è tra l’altro il più emblematico del processo di selezione naturale in atto nel sistema bancario statunitense, al quale il virus subprime ha impresso una formidabile accelerazione. Se Bofa approfitta della situazione per crescere, e i rivali di JP Morgan cercano di ribattere con il ventilato acquisto di Washington Mutual, Countrywide cede la mano per non morire, mentre altri istituti in difficoltà stanno sperimentando la strada degli aiuti finanziari esterni, appoggiandosi soprattutto ai cosiddetti fondi sovrani. Citigroup ha già accettato 7,5 miliardi da un fondo di Abu Dhabi e, secondo indiscrezioni, potrebbe raccoglierne altri 10 da governi esteri; stessa musica per Merrill Lynch, che dopo aver incassato 4 miliardi da fondi asiatici, sarebbe ora in trattative con fondi mediorientali per ottenere fra i 3 i 4 miliardi. E ancora: Morgan Stanley ha aperto le porte a China Investment per la modica cifra di 5 miliardi.
Il fenomeno non riguarda comunque solo le banche Usa: in Europa, si sono appoggiate a questi investitori ultra-liquidi Hsbc, Barclays, Deutsche Bank, Bear Stearns e Fortis Bank e, soprattutto, Ubs.

Gli svizzeri hanno rastrellato circa 11 miliardi dal fondo sovrano di Singapore. Un fiume di quattrini. Con un rovescio della medaglia: l’istituto è stato ironicamente ribattezzato da qualcuno, United Bank of Singapore.

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