Roma - Nei corridoi di Bankitalia si dà per certo: sarà Fabrizio Saccomanni il nuovo governatore di via Nazionale. Impossibile ignorare l’indicazione di Mario Draghi, presidente in pectore della Banca centrale europea, per il suo successore a Palazzo Koch. Impossibile far finta di nulla davanti al gradimento del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per la soluzione interna (Saccomanni è direttore generale della banca centrale). E questo malgrado l’arrocco del ministro dell’Economia Giulio Tremonti sul suo candidato Vittorio Grilli, il più giovane direttore generale del Tesoro.
Una scelta, quella di Saccomanni, che se sarà confermata dal consiglio superiore di Bankitalia, potrà essere letta in diversi modi: sul piano personale, una vittoria di Draghi su Tremonti, rivali ormai storici; sul piano istituzionale un successo dell’asse Francoforte-Quirinale rispetto a quella parte del governo che si riconosce nel ministro dell’Economia e nella Lega; sul piano strategico la creazione di un link più diretto tra la banca centrale nazionale e quella europea che potrà tornare utile. Ed è per questo che, malgrado il premier Silvio Berlusconi avesse negli ultimi giorni ostentato un salomonico distacco nei confronti delle due candidature e malgrado ancora ieri si vociferasse di una terna di nomi (comprendente anche l’outsider Lorenzo Bini Smaghi) per una candidatura forte di espressione governativa, ha di fatto prevalso la linea Saccomanni.
Il probabile scioglimento del nodo Bankitalia ha rappresentato l’ultimo atto di una giornata piuttosto convulsa sul fronte della politica economica. Che ha visto almeno altre due novità di rilievo: la nascita di una cabina di regia interna alla maggioranza per lo sviluppo. E i primi passi verso la privatizzazione di una parte del patrimonio pubblico, affare questo che potrebbe valere parecchie centinaia di miliardi di euro per le casse dello Stato.
Ma partiamo dalla cabina di regia: così è stata già ribattezzata la commissione interna alla Pdl, composta da membri del partito e dei gruppi parlamentari, incaricata di mettere a punto le misure di programmazione economica che saranno poi portate all’attenzione del triumvirato composto dal premier Silvio Berlusconi, dal sottosegretario alla presidenza del consiglio Gianni Letta e dallo stesso Tremonti. La road map tracciata nel corso di un vertice a Palazzo Grazioli è stretta e breve. Si parla di un paio di settimane, in modo che il decreto sviluppo sia pronto per il consiglio dei ministri del 13 ottobre assieme al decreto gemello, quello sulla stabilità, probabilmente in un unico strumento.
Ma alcuni provvedimenti potrebbero essere varati anche prima, come anticipa il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi, per «accelerare gli investimenti infrastrutturali, sollecitare gli investimenti privati e favorire l’occupazione giovanile con l’apprendistato».
Ma ieri, come detto, è stato anche il giorno dell’«inventario del patrimonio pubblico», come Tremonti ha definito il seminario al Tesoro sulla dismissione del patrimonio stesso. Uno scrigno con oltre 1800 miliardi di cui «700 immediatamente fruttiferi», come ha riferito Edoardo Reviglio, docente Luiss e capo economista della Cdp, relatore al seminario, che ha anche indicato quattro asset sui quali si può agire da subito: crediti, concessioni, partecipazioni e immobili.
Questi ultimi in particolare valgono 500 miliardi. «Se ne può vendere il 5-10 per cento, quindi 40-50 miliardi da qui ai prossimi anni», spiega Reviglio.
«Con oggi prende avvio una grande riforma strutturale per la riduzione del debito e per la modernizzazione e la crescita del Paese», dice Tremonti. Secondo la stima del Tesoro, il piano di valorizzazione del patrimonio pubblico garantirà a regime, dal 2020, una riduzione annua del deficit di 9,8 miliardi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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