Bankitalia statale? Rivediamo le scelte

Gian Maria De Francesco

da Roma

Poco più di mezz’ora per approvare il nuovo statuto. L’assemblea straordinaria di Bankitalia di ieri è stata breve, ma ricca di spunti in quanto ha riportato alla luce problematiche delicate. In particolare, l’assetto proprietario della banca centrale.
L’alpha e l’omega dello statuto, ossia il primo e l’ultimo articolo (il numero 49), circoscrivono la vicenda. Da una parte, infatti, si sancisce il principio dell’autonomia e dell’indipendenza di Bankitalia, in ossequio al Sistema europeo delle banche centrali. Dall’altra parte, con una norma transitoria si conferma al Consiglio superiore il potere di vigilare sul trasferimento delle quote della banca. La norma è temporanea perché si attende il regolamento attuativo della legge di riforma del risparmio che fissa al 2008 il termine entro il quale le banche socie di Via Nazionale dovranno trasferire allo Stato o a un altro ente pubblico le loro quote.
Ed è proprio su quest’ultimo punto che il governatore Mario Draghi ha voluto insistere. «Mi preme ricordare - ha detto - che in più occasioni ho sottolineato la necessità di riconsiderare le scelte effettuate dal legislatore circa la configurazione dell’assetto proprietario della banca, per la piena tutela dell’autonomia e dell’indipendenza dell’istituto». Un sommesso invito affinché il Parlamento rifletta ulteriormente sulla questione.
La matassa da dipanare, però, non è delle più semplici. In buona sostanza, Draghi ha voluto ricordare come il nuovo statuto, basato sul principio della collegialità delle decisioni in seno al Direttorio (con l’istituzione di un terzo vicedirettore generale) e sulla trasparenza dell’operato anche attraverso le informative semestrali alle Camere, sancisca una pressoché completa democratizzazione delle procedure nella banca. Il passaggio delle quote dalle banche allo Stato, invece, deve essere gestito in maniera delicata senza che possa sorgere la minima ombra di una dipendenza di Palazzo Koch dalle strutture statali.
A tutto questo si aggiungono le preoccupazioni degli attuali soci che temono di vedersi espropriati di un asset senza un giusto indennizzo. Tra le valutazioni fatte a suo tempo dal Tesoro (poco meno di un miliardo di euro) e i bilanci di alcuni istituti di credito (che valutano Via Nazionale fino a 20 miliardi) c’è un abisso. E così, inaspettatamente, ieri le banche hanno preso la parola dopo l’intervento di Draghi. Non solo Banca Intesa come tradizione, ma anche CariFirenze, CariRavenna, Sanpaolo Imi e altri. Il tono degli interventi è stato pressoché unanime: è necessaria una modifica degli articoli 39 e 40 dello statuto di Bankitalia che regolano la distribuzione del dividendo (attualmente non superiore al 6% del capitale).

Secondo gli azionisti, l’inadeguatezza nel riparto degli utili potrebbe comportare una valutazione troppo bassa rispetto all’indennizzo previsto dalla legge in caso di esproprio. Il termine non è casuale: le banche, azioniste ininfluenti sulla governance di Via Nazionale, si sentirebbero espropriate se la cifra corrisposta dallo Stato non fosse adeguata al valore effettivo. E affettivo.

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