Barack mi ha scritto: "Così abbiamo conquistato l’Iowa"

Bastano pochi dollari per entrare nella comunità internet dell’outsider della politica Usa: "Ora so che il gioco si farà duro. Ma risponderò colpo su colpo ad ogni attacco"

Barack mi ha scritto: "Così abbiamo conquistato l’Iowa"

La mail arriva all’alba. Invia-ricevi: «Abbiamo vinto in Iowa. Grazie, Barack». Abbiamo. Lui e gli altri, noi. Ha appena alzato le braccia, ha dato un bacio alla moglie e alle figlie, ha sorriso di fronte al successo. Primo. È il vincitore, qualcuno dice la sorpresa, altri no, perché era davanti nei sondaggi, perché piace alla gente, perché sa parlare. In Iowa otto punti di vantaggio su Edwards, nove sulla Clinton. Obama non ha ancora parlato all’alba, ma scrive. Scrive in onore di quei 50 dollari che tu hai speso dieci mesi fa: 50 dollari, il prezzo di due t-shirt e trenta adesivi comprati dal suo sito internet.
Non era un gioco: Obama cattura, forse è un grande affabulatore, potrà anche non vincere, ma sogna. È giovane, parla del futuro. Cinquanta dollari erano un regalo, forse il tentativo di sentirsi parte di un progetto. Finanziatore, allora. Ufficiale, sicuro, certificato da una ricevuta: «Grazie del tuo contributo». È così che si diventa uno dei cinquecentomila fan che Barack ha raccolto in questa campagna elettorale. È a loro che parla adesso, prima che agli altri. Questa è l’ultima mail. Invia-ricevi. La campagna in presa diretta la racconta lui. A te. Partecipa che sarai coinvolto. La prima volta, eccola. Sette marzo: «Vogliamo trasformare la politica. Questa non è la strategia per la raccolta fondi. È la nostra forma di democrazia». Lo sai che non è vero. È una bugia: vogliono soldi, perché è con quelli che può sperare di vincere, Obama. Chissenefrega, però. Ci credi perché l’illusione sarà ipocrita, ma ti mette in moto più della realtà.
Ecco la seconda mail. Barack la scrive tre settimane dopo: «Eccoci, ci siamo. Siamo tanti. Questa volta voglio gli ultimi arrivati: un commesso dell’Alabama, una bambinaia del North Carolina, un camionista del Minnesota, un professore della Florida, un predicatore di New York, un paramedico del Texas». Certo, l’Italia non interessa. Non può. Delusione. Allora se non ti cita, se non ti sceglie, chiedi di più. Where’s the beef? La ciccia, Obama. Un’accusa a Hillary, un pezzo di programma, il progetto. È il 30 aprile. Invia-ricevi: «È finito il tempo della vecchia politica. Quelli che dicono di non poter fare, quando invece non vogliono fare. Corro perché dobbiamo cambiare pagina». Si riprende i suoi finanziatori, Barack. Arrivano a pioggia, altri, ancora di più. Tu sei sempre tra loro, perché per restare in questo circo quei cinquanta dollari bastano. Adesso hanno un altro perché, lo capisci il 2 agosto. La mail comincia così: «Non abbiamo ancora finito il nostro lavoro contro Al Qaida, in Afghanistan. Il prossimo Presidente dovrà farlo: Osama bin Laden e tutti i suoi dovranno essere catturati o uccisi. Se sarò Presidente io lo farò. Ho una strategia, un piano». Questo è uno che combatte, non un pacifista. L’hanno dipinto così in Italia, perché non ha votato la guerra in Irak. Però bombarderebbe il Pakistan, se fosse necessario. Vuole più fondi per i soldati, più risorse per la ricerca militare. Duro, perché il comandante in capo dev’essere così. Hillary attacca, lui risponde. Poi te lo spiega: «Lei è una che prende i soldi dalle lobby. Dice che sono loro la vera America. Sbaglia. Siamo noi i nuovi Stati Uniti. Siamo tanti e possiamo cambiare il Paese».
Così. Ancora. Più vicino il voto, più forte la battaglia. Si comincia a vedere l’Iowa. Mail, mail, mail. Obama scrive. Tu clicchi. Invia-ricevi, invia-ricevi, invia-ricevi. Hillary non può non essere il nemico, perché i sondaggi raccontano il testa a testa. Leggi: «Quando ho deciso di correre per la presidenza, sapevo che sarei stato attaccato. Ora so che sto lavorando bene. Lei mi accusa sempre, cerca lo scontro: sembra il disperato tentativo del suo staff di annientarmi. Da ora in poi risponderò a ogni accusa della Clinton. Lo faccio perché non sono solo. Grazie, Barack». Novembre, dicembre, gennaio. Iowa. Cinquecentomila scaricano la posta. Questo titolo piace: our moment is now. Obama, di nuovo: «Mi attaccano, mi insultano, spendono milioni di dollari. Ci vogliono fermare, ma io sono qua per combattere. Si può vincere». Stavolta è furbo davvero, sotto ecco il link al suo ultimo spot elettorale.

C’è lui, parla: «L’America è in guerra, il mondo è in guerra. Noi non diciamo al Paese quello che vuole sentire, ma quello che deve sentire. America, il nostro momento è ora». Urla, applausi, yes. Un messaggio a te, al suo mondo, al futuro. E a Hillary.

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