Bargagli vuole archiviare il «mostro»

I residenti non vogliono parlare della strage considerandola una storia ormai antica e superata

Bargagli vuole archiviare il «mostro»

(...) lo misero letteralmente sulla graticola da vivo e poi lo finirono con un colpo in testa. Ma che importa? È successo tanti anni fa e poi ne ammazzarono altri 26 dopo di lui... A Bargagli nessuno parla di quelle morti. A Bargagli nessuno parla.
È una bella giornata di sole, una di quelle che ti riconciliano con la natura. Anche a Bargagli. Siamo seduti in un tavolo interno del Bar Ciarli, al centro del paese, e cioé nel locale pubblico che fa anche da edicola e libreria. Se a Bargagli vuoi prendere un aperitivo o incontrare qualcuno, è dal Bar Ciarli che devi passare. Anche se c’è da chiedersi che cosa si intenda esattamente con quel «al centro del paese» visto che Bargagli, a parte le 33 località in cui sono suddivise le sue cinque frazioni, è fatta soltanto di qualche decina di case lungo la statale Genova-Torriglia-Piacenza.
Con noi c’è Eugenio Ghilarducci, scrittore e giornalista, autore di diversi libri di storia locale. Il più recente, «L’ultima missione» (Microart’s Edizioni), verrà presentato a breve e racconta quello che realmente avvenne nella Grande Resa, cioè il 27 aprile del 1945 quando le truppe nazi-fasciste si arresero agli americani proprio a Bargagli.
Ghilarducci parla piano, non vuole farsi sentire. «Dovete capire che qui nessuno vuole dire niente su quei fatti - spiega - Prima di tutto la maggior parte di coloro che hanno vissuto quel periodo sono morti. I superstiti sono pochi. E comunque, anche chi sa, non vuole parlare. Ad esempio, qui, seduto ad un tavolo vicino a noi, c’è il figlio di Pistone, quello che si è impiccato nel 1985. Se gli domandassimo che cosa ne pensa di tutta questa storia, non direbbe niente. E non può dire niente. Eppure so che Pistone fu una vittima innocente. Io credo di sapere il perché si è ucciso...».
E allora perché non lo dice?
«Perchè non posso provare nulla. Qui non si riesce mai a provare nulla. Però io so per certo che poco prima di fare quella fine, qualcuno disse a Pistone che volevano colpire i suoi figli. A quel punto non gli rimase molta scelta: o si uccideva, togliendosi di mezzo, oppure qualcuno avrebbe potuto colpirlo nei suoi affetti più cari».
Ma perché tutto questo?
«E chi lo sa? Vendette, probabilmente. Forse aveva detto qualcosa che non doveva a qualcuno che non avrebbe dovuto sapere. E allora non gli restava altra strada...».
Questo significa che qui a Bargagli c’è qualcuno che è libero di terrorizzare il prossimo minacciandolo di morte, magari poi uccidendolo davvero?
«Beh, le minacce qui ci sono sempre state. Ricordo che nel 1989 un mio amico venne a dirmi nel massimo segreto che qualcuno voleva farmi fuori per quanto avevo scritto sugli ex partigiani. Io gli ho risposto che non mi preoccupavo e, anzi, ho cominciato ad andare avanti e indietro per far vedere a tutti che non avevo paura. Anche se le mie precauzioni ho dovuto prenderle...».
E cioé come si è difeso?
«Per esempio, nella casa che mi sono fatto a Bargagli, ho messo tre diverse aperture. In quella della cucina, ho notato che di fronte aveva una collina. Ciò significa che un tiratore scelto avrebbe potuto sistemarsi da quelle parti e, da una distanza di 7-800 metri, colpire tranquillamente il suo obiettivo. Così mi sono fatto sistemare uno spesso vetro antiproiettile che mi permette di vedere anche l’esterno. Questo tipo di misure sono necessarie qui a Bargagli».
E non l’hanno più disturbata?
«Non direttamente, no. Quando poi ho incontrato l’uomo che mi aveva avvertito della minaccia, gli ho detto che comunque bisognava vedere chi sparava per primo. Così, quando hanno capito che non mi lasciavo impresssionare, hanno smesso di minacciarmi».
Secondo Ghilarducci, anche il barista Federico potrebbe avere qualcosa da raccontare, «ma c’è troppa gente nel bar». Forse, quando ci sarà un po’ più di calma, sarà disponibile a scambiare due chiacchere. Ma il tempo passa e il bar è sempre più pieno. Inutile sperare in Federico...
Usciamo. Suggeriamo di andare a parlare con qualcun altro. E arriva il fruttivendolo. «Che cosa? Cosa volete sapere di Bargagli? - risponde con fare circospetto alla domanda - No, guardi, io sono qua da soli 15 anni. Non so nulla di tutta questa storia. Non ho fatto esperienza diretta di quegli anni. Ma non avete nient’altro da fare, voi?».
Pazienza, non era la persona giusta. Poco dopo due vigili, un uomo e una donna, ci passano accanto. Ghilarducci lo conoscono tutti da queste parti, per cui si scambiano due battute. La vigilessa è un funzionario «in prestito» dal Comune di Genova. L’uomo, invece, è un trentenne originario di Bargagli. «É parente di partigiani», avvisa Ghilarducci, come se la cosa dovesse preoccuparci. «No, non so niente della vicenda del mostro di Bargagli - spiega il giovane vigile. E pare sincero - È ovvio che ho sentito tante voci su questa storia, ma non mi pare che qui nessuno se ne preoccupi più. È morta e sepolta, ormai. Forse le discussioni tornano a fiorire in occasione del 25 Aprile, ma si tratta pur sempre di ricordi sbiaditi. Ormai ben pochi sono sopravvissuti a quei giorni. No, qui nessuno pensa più a quella storia».
Sarà pure così, ma Ghilarducci, che dice le stesse cose, non la racconta giusta. È cauto, troppo prudente per non far pensare che la longa mano degli ex partigiani rossi forse potrebbe ancora tornare a colpire. «Da queste parti - insiste - la gente è diffidente. Non si espone con il primo che capita e meno che mai si lascia andare a giudizi su quei fatti criminosi. Forse, se uno non dicesse di essere giornalista, potrebbe ricavare qualcosa di più».
Già, ma rubare commenti e giudizi che poi ci si ritrova sulla stampa, non è esattamente il massimo dell’etica professionale. Anche se qualche volta può essere necessario...
Ma che aria tira a Bargagli a livello di forze dell’ordine? Le drammatiche uccisioni del «mostro» hanno lasciato una scia criminogena nel piccolo paese disteso sulla statale?
«Direi proprio di no - sostiene Paolo Lucchesi, maresciallo maggiore dei Carabinieri, nativo di Albenga, in servizio a Bargagli - Io sono qui da oltre dieci anni e devo dire che il posto è uno dei più tranquilli che io abbia mai incontrato. Ovviamente con le eccezioni di alcuni fatti di sangue che sono finiti nelle cronache di tutti i giornali. Vedete, le nuove generazioni ignorano completamente la storia del “mostro” che ha reso Bargagli tanto famosa nel mondo. Mi ricordo che qualcuno anni fa mi ha raccontato di essere stato riconosciuto come residente di Bargagli alla frontiera tra Olanda e Germania. Pensate, i doganieri conoscevano la storia delle misteriose uccisioni. È quindi plausibile che i giovani non ne vogliano sentir parlare. La gente è stufa di queste cose e non gradisce che ogni tanto i giornali ne scrivano. Del resto, mettetevi nei loro panni: ma vi pare possibile che si debba parlare di Bargagli soltanto per il “mostro”? È dunque ovvio che poi ci sia molta soddisfazione tra i residenti quando qualcuno, come è successo recentemente, appare sulle televisioni nazionali per parlare delle iniziative positive del paese. Ormai la gente di qui vuole guardare avanti, non indietro. I partigiani, il tesoro rubato, i tedeschi e tutti quegli omicidi appartengono ormai al passato, un terribile passato, ma pur sempre un passato».
Parole sante, non c’è che dire. Ma a sentire Ghilarducci, qualche dubbio rimane.

«Qui a Bargagli - aggiunge lo scrittore - c’è una categoria che è particolarmente sentita e rispettata: quella dei cacciatori. E sapete perché? Perché sono armati, ecco perché. Dispongono di un’arma con cui possono farsi valere, mentre gli altri sono svantaggiati rispetto a loro. Ma vi pare una cosa normale?».

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