Cultura e Spettacoli

La Bartlett: "Il mio prossimo noir? Sarà italiano"

È la scrittrice di gialli più famosa di Spagna e la sua detective, Petra Delicado, fa impazzire le lettrici di casa nostra. Così vuole inviarla in trasferta da noi: «Ma ho paura che i tedeschi mi chiedano lo stesso»

da Barcellona
Alicia Giménez Bartlett (Almansa, Albacete 1951) trasmette vitalità solo a vederla. Con il minuto volto chiuso nel suo perfetto caschetto e i modi diretti di chi a fatica si morde la lingua, questa ex professoressa di letteratura divenuta la giallista spagnola più famosa nel mondo non rinuncia a vedere la vita con ironia.
Appena entrati nel suo studio, con caminetto e vista sui tetti di Barcellona, si accende una sigaretta e inizia a parlare di Petra Delicado, la detective che le ha cambiato la vita. Da quando scrisse «quasi per caso» il primo libro sulla bella poliziotta di Barcellona, infatti, il suo successo non ha smesso di aumentare. In Italia il suo ultimo libro Il silenzio dei chiostri (Sellerio, pagg. 528, euro 15, traduzione di M. Nicola) ha venduto 100mila copie in meno di un mese e, per la terza settimana, è al primo nella classifica delle vendite della narrativa straniera.
A bruciapelo: ma come si fa a diventare l’autrice più venduta in Italia?
«Non ne ho la più pallida idea... (ride), ma è stato un lungo processo. Comunque, la prima fila di persone alla firma di un mio libro l’ho avuta in Italia, a Mantova, anni fa».
Forse il segreto è il suo personaggio principale...
«Immagino che una protagonista come Petra, che ha molta passione, sia vicina al modo di essere italiano, anche il senso dell’umorismo è simile».
I suoi lettori si erano lamentati del matrimonio di Petra, e lei l’ha fatta sposare un’altra volta...
«Quando ho pubblicato Nido vuoto molte lettrici, soprattutto italiane, mi hanno scritto per dirmi che gli sembrava un tradimento che Petra si sposasse, perché lei era forte e solitaria. Ma il matrimonio credo sia stato positivo: nessun libro aveva mai avuto un successo come questo, né in Italia né in Spagna».
Il nuovo marito ha anche dei figli da un precedente matrimonio...
«Questa scelta mi ha dato molte più possibilità narrative. Non si può creare una formula di successo e applicarla a piacimento, perché allora ti annoi. Io volevo introdurre nuovi personaggi e rompere il topico dell’investigatore solitario che torna a casa e beve whisky. Poi mi dava l’occasione di esplorare il tema delle nuove famiglie allargate europee, con figli di vari matrimoni».
Ed anche l’assiduo vice di Petra, Fermín Garzón, è sposato...
«Sì ma il loro rapporto non cambia. È sempre una grande amicizia. Adesso Garzón ha un po’ paura di imborghesirsi, è un po’ il riflesso della Spagna che abbiamo vissuto fino ad ora».
Ma la Spagna del boom economico non aveva quella paura, al contrario.
«Esatto, ma Garzón mantiene il suo senso critico».
Quale Spagna fa da sfondo alla trama? Ha scelto l’episodio della «Settimana tragica», quando nel 1909 scoppiò un’ondata anticlericale...
«È la Spagna della storia, che è terribile, piena di scontri fra gli stessi spagnoli. Volevo sottolineare come tragedie lontane siano ancora sentite. Quando sono andata a cercare in Internet ho scoperto che anche oggi le persone si dividono in due “fazioni” su questo tema, chi crede che i preti fossero tutti ladri di bambini e chi crede che gli insorti fossero tutti esaltati. Di nuovo le due Spagne».
Ha detto che non le piacciono i grandi complotti, le trame internazionali, perché?
«Credo che tutti i delitti siano generati dalle passioni primarie dell’uomo. Da quelle amorose, dal desiderio di potere, dall’ambizione economica e da poco altro. In una trama, quanto più internazionale e astratta è la cospirazione, quanto più è irreale, tanto più si allontana da noi. Magari è più facile da scrivere, ma si perdono tanti elementi umani. A me piace avvicinarmi all’individuo in quelle passioni primitive, più che farle mettere in pratica da un’associazione fredda e distante».
Comunque nel «Silenzio dei chiostri», c’è un omicidio, una mummia sparita, uno sfondo storico, sembra il suo libro più ambizioso.
«Forse sì, anche se non è un romanzo storico, piuttosto la parodia dei romanzi di grandi cospirazioni vaticane. Credo sia più ambizioso perché ci sono più personaggi secondari. A me piace molto descrivere anche i non protagonisti».
A che cosa si deve questa nuova auge dei giallisti europei che si allontanano dalla scuola americana?
«Credo che oggi sia più forte la letteratura gialla europea che quella statunitense che sta ripetendo i suoi modelli da molto tempo. Se leggi un giallo americano hai la sensazione di averlo già letto. In Europa lo scenario è molto più vario. Inoltre credo che la letteratura non di genere sia entrata nel mondo interno dell’autore, è “autoriflessiva”, ha perso un po’ il ruolo di testimonianza. Mentre il giallo lo ha recuperato: per conoscere davvero un Paese un giallo è meraviglioso, ti racconta la realtà, la sociologia».
Qual è la Barcellona di Petra?
«Non è come quella di Vázquez Montalbán, che era incentrata nel Raval (quartiere del centro storico, ndr). La Barcellona di Petra è più plurale possibile. Va dal quartiere altoborghese di San Cugat a quello popolare del Carmelo. Nella Barcellona di Petra ci sono i turisti, come in quella vera. Adesso capisco i romani, quando dicevano che è orribile (sospira). Barcellona è una città classista: inizia dal mare con i quartieri popolari e sale fin sulle montagne dei quartieri bene».
La sua casa mi pare sia circa a metà. Cosa vuol dire? Le sta succedendo come a Garzón?
«Sono sempre stata un po’ borghese (ride forte), ma con gli occhi aperti a tutte le realtà».
E la crisi come colpisce la borghesia?
«Fortunatamente il consumo dei libri è cresciuto con la crisi. E magari la gente tornerà ad altri canoni e valori. Un libro, un disco o la compagnia degli amici lo godi sul momento, una macchina la compri per farla vedere agli altri. Credo però che la depressione che aveva l’Italia stia arrivando anche qui».
Crede che l’Italia sia depressa?
«Non dovrebbe esserlo. L’Italia è un grande Paese, più colto della Spagna e con una democrazia molto più consolidata. Il livello culturale medio della gente è superiore. Lo vedo quando parlo con i miei lettori, dal modo in cui mi chiedono dei personaggi, si nota che hanno letto molto di più».
E adesso sta per fare un tour di una settimana, da Padova a Roma. Con tutti questi viaggi avrà già imparato l’italiano.
«Sì, mi ci sono messa seriamente e ho capito che è difficilissimo. Mi sono resa conto che non si può fare velocemente. Ma almeno capisco già tutto».
Quindi... prossimo episodio in Italia?
«Ci ho pensato. È possibile. Devo parlare con la polizia per sapere che libertà ha un ispettore di qui per poter investigare su un crimine all’estero. Se la polizia me lo conferma è molto probabile che lo faccia.

Poi l’Italia ha una prospettiva internazionale molto forte, gli altri miei lettori lo accetterebbero. La cosa brutta è che dopo lo dovrei fare in Germania (il secondo Paese dove Petra è un best seller) e lì sarebbe diverso».

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