Per Matera, capitale europea della cultura 2019, avevo immaginato una grande mostra che indicasse come, in tutta l'area dell'Adriatico, partendo da Venezia, i grandi artisti veneziani, intendendo l'Adriatico come un fiume, distribuiscono le loro opere: dalla Romagna alle Marche, all'Abruzzo, alla Puglia, alla Basilicata.
E non opere minori, perché il primo presidio di questa testimonianza della grande civiltà veneta è una mirabile Pietà di Giovanni Bellini, a Rimini. Poco più giù, a Pesaro, troviamo, sempre di Bellini, la Pala di Pesaro, un'opera che si confronta direttamente con Piero della Francesca. Bellini lo troviamo anche in Puglia, nella Pinacoteca di Bari, con un meraviglioso San Pietro Martire. Un artista non ancora sufficientemente considerato, testimonianza della cultura veneziana che si è maturata a Padova tra Bellini e Mantegna, è Lazzaro Bastiani. Bastiani è un veneziano che manda sue opere a Matera, per la chiesa di San Francesco. Ed è un artista che opera nello spirito di Mantegna: lo si vede nell'architettura antica, classica, con le lesene sul fondo; nel bambino che ha un'aria di sfida e nella sua Madonna meravigliosa. Nel San Francesco Bastiani recupera il fondo oro, testimonianza di una pittura veneziana immediatamente precedente l'arrivo di Bellini.
Giovanni Bellini è invece a Genzano, per un polittico: una Annunciazione dal meraviglioso paesaggio e l'Angelo che sembra guardare l'immagine del Cristo, annunciando alla Madonna la sua condizione. E a destra c'è San Francesco. La Madonna, meravigliosa, sembra derivata da Piero della Francesca nella sua solennità. E ai lati abbiamo San Pietro, San Sebastiano, Sant'Antonio Abate e San Giovanni Battista. Il pavimento di marmo su cui posano e il fondo oro è una rimanenza del gusto ancora medievale, ma di una potenza spaziale così straordinaria che ci ha consentito di riferire questo capolavoro a Giovanni Bellini.
Quindi nella Basilicata dispersa abbiamo i massimi autori dell'arte veneziana. Ma non basta. Il documento che ci dà la misura del rapporto fra il mondo veneto e la Basilicata è quello di un lucano, Roberto de Mabilia, che è nato a Montepeloso. Ha abbastanza denaro e va a studiare a Padova proprio mentre la città è in pieno fermento rivoluzionario, come la Parigi dei primi anni del Novecento, con Picasso, Braque, Modigliani. E una rivoluzione accade intorno alla figura di Mantegna. E, come un collezionista che arrivava a Parigi all'inizio del XX secolo, Roberto de Mabilia, a Padova compra un Mantegna e lo porta a Montepeloso, l'antico nome di Irsina, quando termina i suoi studi di Giurisprudenza. Si tratta della Sant'Eufemia che ora sta a Capodimonte. Il motivo della ghirlanda, in alto, è una derivazione dei sarcofagi antichi, presente in altre tele di Mantegna. Dal mondo antico sembra discendere questa statuaria, bellissima figura femminile - che non ha un fondo oro ma un fondo di cielo - con il polso nella bocca del leone, e il pugnale, l'arma del martirio. E sotto la firma: Andrea Mantegna, 1454.
Ora quest'opera, benché sia a Capodimonte, attesta una presenza della rivoluzione che accadeva a Padova, tra Potenza e Matera, com'era appunto Irsina, in piena Basilicata. Ma in tempi recenti, ventun anni fa, Clara Gelao fece una scoperta ancora più importante. Scoprì una meravigliosa scultura da processione, che era completamente sconosciuta, perché nessuno pensava di trovare Mantegna per ben due volte a Montepeloso, dove l'aveva portato Roberto de Mabilia. E perché non si era dato peso a questa scultura? Perché essendo una scultura da devozione, era coperta dalla tela di cui sopra, portata a Capodimonte. Capita spesso che alcune immagini sacre abbiano una «coperta» che le tiene celate trecentosessantaquattro giorni l'anno, e sono «scoperte» per portarle poi in processione. Davanti a questa immagine c'era la tela; portata la tela a Capodimonte, si è svelata la scultura, prima ignorata. In realtà, essa è visibilmente un'opera che nasce nello stesso spirito della Sant'Eufemia. La santa è la stessa, e nella stessa posizione, ma nel quadro ha l'aria un po' più imbambolata, come se il Mantegna pittore fosse meno potente del Mantegna scultore. Un'opera straordinaria, fatta a Padova, per mandarla a Irsina.
L'attribuzione a Mantegna, lungamente difesa, e anche da me sostenuta, di quest'opera che ho voluto esporre all'Expo, e prima nella grande mostra in onore del Mantegna del 2006, ha trovato alcuni studiosi non contrari alla valutazione di qualità assoluta dello spirito mantegnesco di questa opera, ma, come credo sia giusto, convinti che Mantegna non abbia mai fatto lo scultore. Perché Mantegna è scultore, anche se non lo è. Michelangelo ha la capacità di essere di pari valore in quattro discipline parallele: architettura, pittura, scultura, poesia. Pittura e scultura sono talmente simili che se si confrontano il Tondo Doni e la Madonna di Bruges, la scultura sembra pittura e la pittura sembra scultura, perché in Michelangelo c'è una capacità plastica che si riflette anche sulla pittura, come è lampante negli affreschi della Cappella Sistina. Mantegna vive la stessa condizione, ma in una sola disciplina, che è la pittura: è contemporaneamente poeta, per i testi classici a cui si lega, come Virgilio e Ovidio, è architetto e urbanista per l'insieme di architetture che pone sul fondo dei suoi dipinti, ed è scultore per la dimensione plastica dei suoi panneggi. Che poi sia stato scultore materialmente, vuol dir poco: ha influenzato gli scultori, e li ha resi classici, partendo dalle sue plastiche immagini in pittura.
Allora questa è certamente una scultura di spirito mantegnesco, che qualcun altro ha eseguito; e, infatti, oggi la critica tende a riferirla a uno scultore amico di Mantegna che lavora a Padova, che si chiama Pietro Lombardo. Meno noto di Mantegna, ma è evidente che ha interpretato i pensieri di Mantegna traducendo materialmente in scultura ciò che era essenzialmente scultura nella visione plastica della pittura di Mantegna. Quindi una sfida formidabile per la critica d'arte, tant'è che oltre ad averla spostata io due volte, è stata portata anche alla mostra di Mantegna al Louvre.
Nel corso di questi vent'anni è diventata forse l'emblema più alto della grande civiltà artistica italiana incardinata in Basilicata. Quindi tra Mantegna e Pietro Lombardo siamo comunque di fronte a una testimonianza formidabile, che vive nel cuore della Basilicata.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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