Di fronte al dibattito che ha accompagnato la decisione di far disputare la partita di Eurolega tra Virtus Bologna e Maccabi Tel Aviv, vale la pena fermarsi un momento e distinguere ciò che appartiene alla polemica politica, che non mi interessa sinceramente, da ciò che invece riguarda il funzionamento delle istituzioni democratiche.
Nei giorni scorsi il sindaco di Bologna, Matteo Lepore, ha espresso la sua contrarietà allo svolgimento della gara al PalaDozza, arrivando a sostenere che avrebbe prevalso la logica della “forza”. Ma osservando con attenzione i fatti e il quadro normativo che regola la sicurezza pubblica, appare evidente che non si è trattato di una partita vinta “con i muscoli”, bensì della semplice applicazione delle regole, della normalità istituzionale e della legalità e della Democrazia.
Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, intervenendo pubblicamente alla manifestazione dell’Anci pochi giorni fa, ha espresso con chiarezza un punto spesso dimenticato nel frastuono delle polemiche: esistono norme precise che regolano lo svolgimento degli eventi pubblici, e lo Stato ha il dovere di applicarle con trasparenza, indipendentemente dal contesto politico o emotivo.
Nel nostro Paese come in tutte le democrazie compiute, come anche quella di Israele, credo, una partita sportiva si disputa se non esistono motivi oggettivi, accertati dalle autorità competenti, che ne rendano impossibile lo svolgimento.
E in questo caso, tali motivi non sono stati rilevati dalle autorità preposte a farlo. Quindi la partita si disputerà. La presenza di una squadra israeliana, per di più proveniente da una democrazia, e ci tengo a precisarlo, riconosciuta a livello internazionale come lo Stato di Israele, non costituisce di per sé alcun ostacolo. Anzi, in un momento in cui i conflitti generano tensioni globali, favorire manifestazioni sportive rappresenta un contributo prezioso alla normalità civile e alla libertà delle persone. Senza minimizzare la complessità del dibattito pubblico, è legittimo chiedersi come mai, in una città come Bologna che ha sempre fatto della pluralità un valore, una partita di basket sia stata oggetto di un tale scontro così acceso. Credo sia molto strano.
Perché è proprio lo sport, oggi più che mai, a ricordarci che incontrarsi è meglio che contrapporsi, competere è meglio che scontrarsi, e che non può esserci nulla di “pericoloso” nel condividere lo stesso palazzetto con atleti che rappresentano un altro Paese democratico. In questo senso, più manifestazioni sportive significano spesso meno manifestazioni violente, meno spazi lasciati alla tensione, più occasioni per costruire rapporti umani al di là delle bandiere e delle appartenenze politiche.
Credo sia opportuno ricordare che, se davvero il Comune di Bologna avesse ritenuto la partita incompatibile con il contesto cittadino, esistono strumenti giuridici e procedurali per intervenire, ma vedo che probabilmente non sono stati utilizzati. E credo che questo dica già tutto. Per questo motivo, appare evidente che la controversia non riguardava soltanto la partita in sé, né la sicurezza. Toccava un piano più ampio, che va “oltre i nostri confini”, come dimostra la dimensione internazionale delle proteste e delle tensioni intorno al conflitto in Medio Oriente.
In un clima simile, è essenziale ribadire una verità semplice ma fondamentale: le comunità ebraiche italiane non devono sentirsi isolate né colpevolizzate per ciò che accade altrove. Anzi vanno difese e sostenute come del resto anche il popolo palestinese vittima di Hamas. A loro va espressa senza ambiguità la più sincera e sentita solidarietà. Solidarietà e vicinanza acnche a tutte le comunità ebraiche italiane, come alla comunità ebraica di Bologna che sta vivendo queste giornate particolari.
Alla fine, la partita si giocherà e questo e l’importante in tutta questa vicenda. Non perché qualcuno abbia “fatto la voce grossa”, ma perché così funzionano gli Stati di diritto: le regole si applicano, gli eventi autorizzati si svolgono, i cittadini mantengono la libertà di partecipare o non partecipare in piena liberta ma sempre nel rispetto delle regole.
In questa vicenda, a vincere ribadisco non sono stati i muscoli. Sono stati la normalità, la legalità, la razionalità istituzionale.
Tre parole che, quando tutto intorno sembra
gridare, dovrebbero rassicurarci ancora più di una partita giocata davanti a un palazzetto pieno. Per concludere con uno slogan direi: più sport e meno polemiche. Farebbe meglio a tutti e sopratutto al nostro amato Paese.