Cristiano Gatti
da Milano
Caro Basso: s'è liberato di un peso, adesso che ha gettato via la maledizione dell'anno scorso?
«Sono molto felice, questo sì. Ma non è risolto niente. So come funziona. Nella mia vita ho sofferto molto, per arrivare qui. Quando soffri e sali una scalinata tortuosa, alla fine gioisci perché ricordi dove sei partito. Ma la vita continua. Tra un mese arriva il Tour, e lì dovrò dimostrare d'essere bravo almeno quanto qui. Poi arriverà il prossimo Giro, e dovrò superare il paragone con questo. È la mia vita...».
Ricorda anche giornate difficili?
«Ho fatto qualche Tour: qui al Giro s'è corso proprio così. Su ventuno tappe, siamo partiti diciannove volte a tutto gas. Tutti con una gran voglia di vincere. Per dire: ho patito soprattutto in un paio di tappe impreviste, Peschici e Termoli, considerate di trasferimento. Ma bisogna dirlo: questo Giro non ha mai avuto tappe di trasferimento».
Però ha stravinto. Le danno dell'extraterrestre.
«Non è una cosa che mi faccia piacere. Sembra quasi che sia sbarcato per caso da un altro pianeta. Ma io sono arrivato alla vittoria con regolarità e costanza. Io non ho vinto facendo l'impresa del secolo, infliggendo dieci minuti in una sola tappa. Semplicemente, ho vinto con la regolarità. Sulla differenza con gli altri, che cosa posso dire: negli ultimi due anni stavo con Armstrong e gli altri arrivavano due minuti dopo. Ora Armstrong non c'è, io sono ancora lì, allo stesso posto...».
Il posto di Armstrong?
«Io cerco un posto mio. Non voglio il posto di un altro».
Eppure anche lei ha un mito.
«Indurain. Lo vidi da ragazzino ad una tappa di Borgomanero. Scese dal pullman, sembrava un re. Mi dissi: che bello dev'essere stare lì. Adesso ci sono. Ma arrivare dov'è arrivato lui in tutta la carriera sarà molto difficile...».
L'errore del suo Giro capolavoro?
«Uno solo: sul passo San Carlo, sotto la tormenta, non mi sono messo una giacca pesante. Così, in discesa, sono congelato. Fosse stata più lunga, avrei potuto persino rimetterci il Giro».
Ha imparato ancora qualcosa.
«Questo Giro me ne ha insegnate altre. Per esempio, quindici giorni con la maglia rosa mi hanno insegnato a correre da leader. Se un giorno succederà di avere la maglia gialla, sarà un po' meno difficile sopportarla».
Già, il Tour.
«Una festa con la squadra, due o tre giorni in famiglia. Sarà la mia pausa. Ma non smetterò di pedalare. Il Tour è già qui. Va preparato da subito. Guai affrontarlo con la pancia piena, con lo spirito di relax della vittoria. La vittoria al Giro serve solo a darmi più tranquillità. Da questo inverno penso che l'accoppiata Giro-Tour sia possibile. Il primo passo è fatto, ma il mio progetto prevede il doppio passo».
È una promessa di vittoria?
«È la solenne promessa che non andrò al Tour a vivere di rendita. Ho la stessa determinazione che avrei se mi fosse toccato perdere il Giro. Io ho la testa dura come il cemento armato. La fame resta, perché il progetto è quello. Se capiterà di perdere, non sarà perché mi sono adagiato».
Ad alcuni, per esempio Cunego, vincere il Giro ha fatto malissimo.
«Premesso: Damiano è forte davvero. Tornerà a vincere. Ma il problema è come si arriva alla grande vittoria: lui ha avuto tutto e subito, da giovanissimo. Io ci sono arrivato lentamente, in età matura, con tanti sacrifici. Non permetterò che il successo e la popolarità rovinino tutto».
Intanto, le sta piovendo addosso il mondo: autografi, interviste, anche telefonate di personaggi illustri.
«Mi piacerebbe fermarmi per 24 ore e rispondere a tutti i tifosi. Certe volte basta un autografo. Ricordo bene che cosa significa: non dimentico mai quando stavo io dietro le transenne, sognando un cappellino di Bugno o di Indurain. Purtroppo, i tempi e gli impegni adesso premono. Comunque non sarò mai tra quelli che si dicono stressati dai tifosi. Guai, quando non ci sono. Quanto alle telefonate, mi ha chiamato Prodi. È il presidente del Consiglio, ama il ciclismo, e questo è bello. Ma mi farebbe uguale piacere anche una telefonata di Berlusconi: il ciclismo non ha colori, non è di nessuno. Lo stesso Bossi, che è mio compaesano, è un grande tifoso. Si farà vivo. Mi ha chiamato Fiorello, mi ha chiamato il mio cantante preferito, Mango. Ormai con lui siamo amici».
Ha avuto qualche impegno anche con la sua famiglia, in questi giorni.
«La vittoria del Giro, la nascita del piccolino. Finalmente, lo vedrò domattina (oggi per chi legge, ndr).
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