Basso pedala già verso il futuro «Sono pulito e tornerò a vincere»

«Attendo ancora le carte che mi accusano ma dimostrerò che non c’entro nulla». Intanto molte squadre lo cercano

Pier Augusto Stagi

Non scappa più Ivan: pedala. Non ha motivo di scappare e dopo essere uscito di scena dal Tour passando da una porta di servizio, come un banale ladro di galline, Ivan ha deciso di guardare la realtà dritta negli occhi. Ieri mattina si è alzato come tutte le mattine: un bacio a Micaela, forte e profondo, come sa essere il loro amore. Tre baci, carichi di tenerezza, alla piccola Domitilla, l’unica veramente felice di avere ancora lì papà. E un bacino a Santiago, che è nato quattro settimane fa, quando papà era fasciato di rosa e adesso ha i pensieri avvolti dal giallo di un’inchiesta doping spagnola che lo vede tra gli indagati. E tanto basta per essere cacciato dal Tour, dal ciclismo, come un appestato. Via lui, via Ullrich, via Vinokourov, via altri sei compagni di sventura. La colpa, tutta da dimostrare, è già sufficiente per scrivere la loro condanna: il codice etico parla chiaro. Chi ha problemi con la giustizia deve essere sospeso dalla propria squadra. La Csc, come la T-Mobile e le altre, l’hanno dovuto fare. «E pensare che il mio avvocato voleva che io non lasciassi il Tour – ci dice Ivan Basso di ritorno da 120 chilometri di allenamento, su e giù per le strade di Varese, su e giù per Campo dei Fiori -. Per lui è una cosa incomprensibile, per lui è inconcepibile che uno sia privato del proprio lavoro solo perché si è sospettati. Sono stato io che gli ho fatto capire che c’è un codice etico da rispettare, sottoscritto da tutte le squadre, e al quale ci si deve attenere». Così, a bordo di quella Passat grigia, accompagnato da Massimo Martelli, l’avvocato che sarà chiamato a dipanare questa intricata matassa giuridica, è tornato a casa, attorno alle 19.30 dell’altra sera. A Cassano Magnago, in via Don Orione, dove abita come Micaela e le sue due creature, ha ritrovato l’abbraccio caldo della famiglia e il dolce tepore di un porto amico dopo ore di tempesta. «È una fortuna avere una famiglia come la mia – dice – perché ci si sente protetti. E in questi momenti è tutto. Io come mi sento? Come un uomo che viene accusato ingiustamente e che ancora adesso non sa come difendersi. I miei avvocati non sono ancora venuti in possesso di quel maledetto dossier di 37 pagine dove dovrebbe esserci scritto di cosa vengo accusato. Una cosa però la posso dire: io non c’entro nulla e lo dimostrerò con tutte le mie forze. Io sono stato buttato giù, sportivamente sono distrutto, ma dimostrerò che sono estraneo a questa vicenda e tornerò a correre e a vincere. Come prima, più di prima». Rientra dall’allenamento, Ivan, attorno alle 13.15 e fuori dalla sua villetta ad aspettarlo c’è Carmine, il titolare della pizzeria «L’Aragosta»: un bel bicchiere di acqua e menta come piace a lui e una pizza ecologica, la favorita di Ivan. «Avrei preferito vedere uscire dai mondiali l’Italia, piuttosto che vederti qui», gli dice Carmine con gli occhi lucidi. I suoi figli, Francesco e Rosaria, lo salutano e lo incoraggiano insieme al genero Massimo, che sembra il sosia di Ivan, con tanto di maglietta Csc. Ad attenderlo c’è anche un giornalista danese, gli chiede di Riis, molto duro con lui. «Io so quello che sta provando e tanto mi basta». Ma intanto sono già molte le squadre che si sono fatte avanti per assicurarsi le pedalate del talento varesino.

Alcune sono ritorni di fiamma, d’oltre oceano. Gli chiedono: Ivan, chi lo vince a questo punto il Giro di Francia? «Non lo so, e non m’interessa nemmeno saperlo. A questo punto spero solo di poter essere io, il prossimo anno, a vincere il Tour».

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