Alessandro Beulcke, presidente dellOsservatorio Nimby Forum, organismo indipendente che si occupa del monitoraggio dei fenomeni di contestazione alle grandi opere (sindrome «nimby» ovvero «Not in my backyard» ovvero «Non nel mio giardino»), è certo: lostilità delle popolazioni ai cantieri va prevenuta, non combattuta.
«Perché una volta partiti i cortei, il danno è bello che fatto. Bisogna saper prevenire la protesta».
Come?
«Con linformazione. Rendendo la gente consapevole della necessità di un impianto, delle complicanze e soprattutto dei vantaggi che questo porterà al territorio».
Le proteste insomma sono fatte «alla cieca»?
«Sì, la qualità della protesta è mediamente molto scarsa. Vige lidea che politica e imprese perseguano interessi in contrasto al bene collettivo. Conseguenza di questo è il blocco indifferenziato di ogni progetto che miri a cambiare la situazione pregressa».
Di chi è la colpa?
«Principalmente del mondo politico. Sia in fase di progettazione, quando non comunicano ai cittadini le motivazioni della messa in cantiere di unopera, sia dopo, durante le proteste».
Perché?
«Perché molti politici locali tendono poi a cavalcare la protesta per tornaconto elettorale».
Ma può da solo un gruppo di cittadini bloccare un cantiere?
«Altroché. Basta rivolgersi al Tar. Una volta accolto il ricorso, in attesa che il tribunale si pronunci, i lavori vengono bloccati. E inizia il balletto di carte bollate che spesso affossa definitivamente i cantieri».
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