Il 9 gennaio 2019, per la seconda volta nella sua carriera, Nancy Pelosi è entrata a Capitol Hill in qualità di speaker, cioè di presidente, della Camera dei rappresentanti. Varcare quella soglia è stato per lei un orgoglio: per la comunità italoamericana, però, è stato un ulteriore balzo in avanti. La madre di Pelosi, Annunziata Lombardi, era nata nel 1909 a Fornelli, in provincia di Isernia, e a 3 anni era sbarcata a Ellis Island, l'isolotto della baia di New York dove venivano «esaminati» i nuovi arrivati; il padre, Thomas D'Alesandro, era invece nato a Baltimora da genitori emigrati da Montenerodomo, Chieti. Da «pala e piccone» («pick and shovel», secondo le parole del poeta italo-americano Pascal D'Angelo) a terza carica dello Stato: l'affermazione di quei cinque milioni di cittadini italiani trasferitisi oltre Oceano a cavallo tra Ottocento e Novecento, e diventati oggi 17 milioni di cittadini americani, è stata lenta e altalenante. Dai lavori più umili (stradini, muratori), gli emigrati italiani si sono gradualmente conquistati l'accesso alle posizioni chiave della società Usa.
A raccontarne l'evoluzione è Storia degli italoamericani (Le Monnier), a cura di William J. Connell, Stanislao G. Pugliese e Maddalena Tirabassi, con il contributo di oltre 40 accademici e storici che fanno luce su cinque secoli di migrazioni, insediamenti, scambi e relazioni, dagli esploratori del Nuovo mondo fino alla contemporaneità. Una storia che smentisce il luogo comune del gruppo etnico che si trasforma a immagine della maggioranza, e che invece mostra i risultati di quella che è stata una lunga lotta verso l'accettazione e il rispetto senza rinunce alla propria identità.
La società Usa cominciò a riconoscere per davvero gli italo-americani negli anni della Seconda guerra mondiale, sulla spinta della popolarità dei cantanti e dell'ingresso di spaghetti e pizza tra i pilastri della dieta americana. Una fotografia che mostra il livello di integrazione già raggiunto in quegli anni è quella che ritrae i candidati a sindaco di New York alle elezioni locali del 1950: su quattro pretendenti, tre erano italo-americani (alla fine vinse Vincent Impellitteri, originario del Palermitano). Nell'ultimo secolo New York ha avuto in totale quattro sindaci di discendenza italiana (oltre a Impellitteri, Fiorello LaGuardia, Rudy Giuliani e Bill DeBlasio, l'attuale). Ma il cammino di emancipazione della comunità ha avuto alti e bassi: soprattutto negli anni Sessanta e Settanta gli italo-americani furono vittima di pregiudizi e razzismo, anche a causa di una «rinnovata ossessione popolare» - così la definisce Connell - per i gangster italoamericani e per la mafia, alimentata dai mass media e presente già da prima della pubblicazione de Il padrino, il romanzo di Mario Puzo del 1969 che sarebbe poi stato trasposto nelle pellicole di Francis Ford Coppola.
A sancire l'affermazione degli italo-americani negli Usa furono gli anni Ottanta. Nel 1983 il New York Times dedicò al fenomeno un articolo, citando vari casi di persone di origine italiana che ricoprivano ruoli di leadership nei rispettivi campi. Da Mario Cuomo, eletto in quello stesso anno governatore dello Stato di New York (posizione oggi ricoperta dal figlio, Andrew Cuomo) i cui genitori venivano dalla provincia di Salerno, a Tommy Lasorda, baseball manager dei Dodgers di Los Angeles, figlio di padre chietino. E poi ancora l'architetto Robert Venturi e la deputata Geraldine Ferraro, che nel 1984 corse alle presidenziali come vice di Walter Mondale. In arte e cultura gli esempi si sprecano: da Frank Sinatra a Madonna, da Don DeLillo a Frank Capra. Nel 1986 fu la volta della Corte Suprema: Antonin Scalia, il cui padre era di Caltanissetta, divenne il primo italo-americano nominato alla Corte, dove divenne un punto di riferimento per l'ala conservatrice.
Nel governo attuale la quota italo-americana è presente con Mike Pompeo, segretario di Stato del presidente Donald Trump: in ottobre, durante una visita ufficiale in Italia, si è fermato a Pacentro (L'Aquila), il paese dei bisnonni. Un italo-americano alla Casa Bianca, invece, ancora non si è visto, ma ormai non sarebbe più un tabù. Anche e soprattutto perché oggi gli italoamericani si sentono - semplicemente - americani.
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