Roma - Il passo indietro arriva a metà pomeriggio. Dopo che di prima mattinata la Lega fa trapelare da via Bellerio un non meglio definito «stupore» e «malumore» per la cosiddetta norma pro-Mondadori. I vertici del Carroccio, in verità, erano ovviamente a conoscenza della novità, introdotta con ogni probabilità a margine del Consiglio dei ministri che la scorsa settimana ha dato il via libera alla manovra correttiva. Così come ne era a conoscenza il Quirinale, avvertito - raccontano i ben informati - dagli uffici di via XX Settembre e fin dall’inizio molto scettico. Ma è chiaro che la velina della Lega mette in qualche modo la pietra tombale sulla questione, perché di fatto sposta il Carroccio sulla linea dell’opposizione, oltre che su quella del Colle (che già non aveva nascosto il suo scetticismo qualche settimana fa quando il premier aveva prospettato la modifica durante un faccia a faccia con Giorgio Napolitano).
Così, Silvio Berlusconi decide di mollare. Ed evitare un braccio di ferro che probabilmente non sarebbe finito a suo vantaggio scatenando solo ulteriori polemiche. «Nell’ambito della cosiddetta manovra - dice il presidente del Consiglio - è stata approvata una norma per evitare attraverso il rilascio di una fideiussione bancaria il pagamento di enormi somme a seguito di sentenze non ancora definitive, senza alcuna garanzia sulla restituzione in caso di modifica della sentenza nel grado successivo». Sei righe destinate a rivedere gli articoli 283 e 373 del codice di procedura civile, applicabili - questa la ragione delle polemiche - anche al procedimento che coinvolge la Fininvest e la Cir di Carlo De Benedetti (che in primo grado ha ottenuto un risarcimento di 750 milioni di euro, con la sentenza di secondo grado attesa per il 9 luglio). «Si tratta di una norma - insiste Berlusconi - non solo giusta ma doverosa, specie in un momento di crisi dove una sentenza sbagliata può creare gravissimi problemi alle imprese e ai cittadini».
Il Cavaliere, insomma, difende con forza la ratio della modifica, convinto che le opposizioni abbiano «promosso una nuova crociata» solo perché «tra migliaia di potenziali destinatari» si potrebbe «applicare anche ad una società del mio gruppo». Questo «dando per scontato che la Corte d’Appello di Milano condannerà effettivamente la Fininvest al pagamento di una somma addirittura superiore al valore di borsa delle quote di Mondadori possedute da Fininvest». Una cosa a cui il premier dice di non credere, perché «conoscendo la vicenda ritengo di poter escludere che ciò possa accadere e anzi sono certo che la Corte non potrà che annullare una sentenza di primo grado assolutamente infondata e profondamente ingiusta» perché «al contrario costituirebbe un’assurda e incredibile negazione di principi giuridici fondamentali».
In verità, Berlusconi teme non poco la sentenza di secondo grado visto che ormai da mesi, nelle sue conversazioni private, non manca di dire che «la persecuzione giudiziaria» di cui è «vittima» non riguarda più «solo la mia persona», ma «si è allargata ai miei figli e al mio patrimonio». Insomma, siccome «non sono riusciti a farmi cadere dipingendomi come un mafioso o uno stragista» ora «sono decisi a farmi fallire», adesso «mi vogliono rovinare».
Nonostante i timori, però, il premier è consapevole del fatto che a questo punto la norma in questione è affossata nei fatti. E quindi, dice, «per sgombrare il campo da ogni polemica ho dato disposizione che questa norma giusta e doverosa sia ritirata». «Spero - conclude il Cavaliere - non accada che i lavoratori di qualche impresa, in crisi perché colpita da una sentenza provvisoria esecutiva, si debbano ricordare di questa vergognosa montatura».
In realtà, come era piuttosto scontato, la querelle continua comunque. Con il leader del Pd Pier Luigi Bersani convinto che si sia «toccato il fondo» e che ci si debba «aspettare altre sorprese». E con la Lega che, seppure in maniera un po’ defilata, non nasconde la sua soddisfazione.
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