«Basta pressioni, non siamo una caserma»

RomaOnorevole Benedetto Della Vedova, quali sono le ragioni alla base del suo emendamento al ddl sul testamento biologico?
«Oggi non esiste un’ampia convergenza in materia. Ci sono coloro che vorrebbero un testo prescrittivo e ci sono coloro che invece pensano che non sia lo Stato a dover decidere sulla vita delle persone. Seguendo queste linee si arriva allo scontro e la legge sarebbe il frutto di una divisione».
E quindi?
«Con l’emendamento, interamente sostitutivo del ddl Calabrò, si può arrivare a una legge che non preveda né eutanasia né accanimento terapeutico né, tantomeno, la dichiarazione anticipata di trattamento. Si stabilisce che medici e familiari possano decidere insieme nei casi più gravi».
Una tale impostazione non eviterebbe controversie.
«È chiaro che, se si aprono contenziosi, si ricorre al giudice, ma questo accadrebbe anche con il ddl Calabrò».
L’emendamento rappresenta una posizione diversa rispetto a quella sostenuta da governo e maggioranza sin dal caso Englaro.
«È passato molto tempo da quella vicenda che ha determinato un forte coinvolgimento emotivo. Il testo che ho proposto non è né laico né cattolico ma favorisce una maggiore condivisione. Penso che il Pdl non abbia da guadagnare con lo scontro. Almeno la metà degli elettori di un partito che raccoglie i consensi del 35-40% degli italiani non si riconoscerebbe in una legge che limita la libertà delle famiglie».
Tale ripensamento, secondo lei, non creerebbe difficoltà nei rapporti con la Chiesa?
«Penso che l’attuale ddl non guadagnerebbe al Pdl la “benedizione” della Chiesa. Su questo tema, va ricordato, non ci sono posizioni univoche nel mondo cattolico».
La firma di alcuni parlamentari vicini al presidente della Camera al suo emendamento non rischia di creare ulteriori fratture?
«Penso il contrario. Rivendico questa iniziativa alla quale ho lavorato quando il Pdl non esisteva ancora. Sarebbe una grande occasione di saltare la distinzione fra ex An ed ex Fi e di dimostrare che il partito non è una caserma».
Ma il presidente Fini è stato in qualche modo coinvolto nella stesura del testo?
«È stata una mia iniziativa. Ho lavorato a casa con l’ausilio di alcuni avvocati civilisti».
Tuttavia alcuni parlamentari hanno ritirato la propria firma...
«So che ci sono state pressioni da parte del capogruppo nei confronti dei parlamentari più riconducibili a Fi. Credo sia stato un grave errore».
Ma, visto il momento, non si poteva rimandare?
«Su questo tema il presidente Berlusconi ha sempre detto che c’è libertà di coscienza. Se invece si vuole impedire il dibattito invocando la fedeltà, si gioca a dividere il partito visto che le posizioni di Fini sono note. Io, per parte mia, ho sempre avuto un tale convincimento».
Sul cosiddetto «processo breve», però, ha espresso una posizione diversa da quella della maggioranza.
«Serve un punto di equilibrio. Sono contrario all’accanimento giudiziario contro Berlusconi e per questo motivo voterò sì al ddl, ma è necessario realizzare contestualmente una parte della riforma della giustizia per tutti i cittadini. Magari ritornando all’immunità parlamentare».
Si è impegnato per la cedolare secca sugli affitti in Finanziaria opponendosi al ministro Tremonti.
«Avevo presentato un ddl insieme con il vicepresidente della Camera Lupi e ho proposto di partire dai contratti di affitto di nuova stipula a partire dal 2010 per non incidere in maniera significativa sul bilancio dello Stato».
Su questi due temi, però, si sono verificati attriti.
«Non ho quasi mai fatto mancare il mio voto al governo e alla maggioranza.

Ho preannunciato il voto favorevole sul processo breve, ma su immigrazione e cittadinanza mantengo convincimenti liberali e liberisti. Se le posizioni dissonanti portano acqua al mulino del Pdl, non andrebbero tacciate di disfattismo».

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