LA BATTAGLIA INCIVILE

Mario Giordano ha risposto giorni fa, su queste pagine, a due lettori che segnalavano d’essere stati insolentiti perché avevano in mano Il Giornale; Giampaolo Pansa sul Riformista ha preso spunto dalla risposta di Giordano per un commento titolato «Niente fischi al Presidente del Consiglio»; adesso intervengo a mia volta rifacendomi sia a Giordano sia a Pansa. Sembrerebbe, questo in cui ci esercitiamo, un giuoco di matrioske, ciascuna delle quali ne racchiude un’altra, se non fosse invece un dibattito molto serio e preoccupato sul tasso di aggressività e di intolleranza del Paese. Un Paese - questa la riflessione malinconica di Mario Giordano - nel quale il centrodestra, essendo maggioranza elettorale, è ed è sempre stato minoranza culturale.
Non è una situazione inedita. I moderati, sia che trovassero cittadinanza politica nella Dc e nei suoi alleati, sia che la trovino ora in Berlusconi, hanno sempre soverchiato la sinistra: ma non il clamore, le declamazioni, le rivendicazioni d’un primato democratico che dalla sinistra stessa venivano. Il termine “maggioranza silenziosa” - cui i maestrini rossi riuscirono a dare una connotazione fascistoide - fu l’espressione di questo paradosso. E l’obiettivo di Montanelli, quando fondò Il Giornale, consistette proprio nel dare voce ai senza voce.
Gli insulti a chi osi leggere Il Giornale, le scomposte contestazioni di gruppuscoli schiamazzanti a Berlusconi o al ministro Gelmini attestano un ritorno agli anni che furono prima d’odio forsennato, e poi divennero di piombo? Abbiamo gli emuli di chi bollava Montanelli come fascista? Io credo o spero di no perché la componente violenta - fino allo spargimento di sangue - degli antagonisti al sistema o al regime - come piace dire - è molto minore, e non gode come negli anni Settanta di diffuse simpatie salottiere. Nelle fabbriche dove furoreggiava l’impunità arrogante dei brigatisti rossi la sinistra non domina più, si ha al contrario una simpatia crescente verso il centrodestra.
La battaglia più propriamente politica la sinistra l’ha perduta senza rimedio. Le restano le armi d’una battaglia d’invettive che pretende d’essere culturale, ed è soltanto incivile. Nella versione del terzo millennio la polemica contro Berlusconi non si alimenta di argomenti, ma di pregiudizi discriminatori e, diciamolo pure, razzisti. Si vuol far credere che il berlusconismo e i berlusconiani siano espressione d’una subumanità arretrata, che le loro menti siano negate alle alte speculazioni filosofiche che caratterizzano un Di Pietro o un Casarini, che solo capitalisti dalla nuca grassa e damazze ingioiellate partecipino alle riunioni del Popolo della libertà. Ci sono, in quelle riunioni, anche tanti operai, ma questo è un particolare sul quale i salottieri glissano volentieri.
Lo snobismo di sinistra è ripetitivo. Ne sa qualcosa Giampaolo Pansa che dalla sinistra proviene. Finché le truci storie del dopo Liberazione furono raccontate da Giorgio Pisanò nessuno se ne diede per inteso. Lo sporco fascista non meritava d’essere ascoltato. Ci volle un uomo dalle credenziali di sinistra, come appunto Pansa, per infondere importanza al sangue dei vinti. Pansa esorta a non sottovalutare i segnali di pericolo che i fatterelli o fattacci recenti accendono. Ha ragione. Ma proprio per i motivi che ho via via accennato, mi chiedo se la manovra della sinistra non sia stata agevolata da ritardi, negligenze e assenze d’una intellighenzia di centrodestra che si sente appagata dal consenso maggioritario di Berlusconi nel Paese, e sembra rassegnata a rimanere minoranza nella cultura e nella scuola.

Questa è una non strategia. Restando inteso che ai facinorosi e ai teppisti - magari muniti di cattedra - che impediscono di tenere pubbliche e civili discussioni bisogna opporre la forza della ragione e, quando possibile, la forza della legge.

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