Dalí batte Cattelan sei a due Non c’è gara nel derby milanese

L’arte non si fa con i numeri, non la si può giudicare da quanto è lunga una fila o da quanti biglietti si staccano per una mostra, altrimenti ci toccherebbe dire che i cadaveri plastinati di Von Hagens sono una genialata. Ma pur senza innescare pericolosi dibattiti su l’art pour l’art e sul pubblico cinico e baro, oppure criticamente maturo, gli organizzatori di mostre qualche valutazione di questo tipo sono costretti a farla. E il conto di quei foglietti strappati all’ingresso decide in qualche modo del successo o dell’insuccesso delle loro scelte.
Bene, a Milano si sono aperte in parallelo due mostre «big». Da un lato Maurizio Cattelan: lo schiacciatore di papi a colpi di meteoriti, l’amputatore di dita naziste in formato gigante, il re del postmoderno che, durante l’estate, è finito sui giornali un giorno sì e l’altro pure per tutte le discussioni e le polemiche che le sue «provocazioni» hanno suscitato in una metropoli sempre meno da bere e sempre più da guardare. Dall’altro (a separarli solo gli addetti di Palazzo Marino con la radiolina in mano), Salvador Dalí: il geniale surrealista, lo scioglitore di orologi, il mercante di se stesso che abusava della propria arte senza mai abusarne troppo.
E come stia andando, al botteghino, l’incontro tra questi due campioni (quasi un Darete e un Entello di virgiliana memoria) è presto detto. La sta spuntando alla grande il «vecchio» Dalí. Sabato, vera prima giornata di compresenza, Salvador, con la sua Venere di Milo a cassetti e i suoi paesaggi irreali ha attirato 3mila visitatori, Cattelan meno di un migliaio: il dato fornito dalla biglietteria è 837 visitatori. Quanto a ieri, bastava passare vicino a Palazzo Reale per vedere la lunga coda dei fan del catalano che si snodava sin quasi a piazza Duomo, mentre per Cattelan dopo una decina di minuti d’attesa già ci si trovava a tu per tu con un tramortito Wojtyla. Inevitabile quindi l’esito. Dalí 2850 (2734 biglietti staccati più 116 prenotazioni) Cattelan «solo» 1276.
Se questo, lo ribadiamo, non è un parametro di confronto artistico, è almeno la prova provata che la polemica e il dibattito culturale sono spesso assai sproporzionati e mal collocati rispetto a quello che davvero interessa alla gente. Perché diciamolo, del povero Dalí si è parlato molto meno che del mediatico Cattelan. Eppure al pubblico questa disparità ha fatto un baffo. Senza contare la non trascurabile questione che il «ditone», l’opera che ha suscitato il maggior polverone mediatico, sta in mezzo a una piazza e che molti si accontentano di quello - piace alle ragazzine che si fanno fotografare a medio alzato con la statua sullo sfondo - a tutto danno dei biglietti di Palazzo Reale.

E Dalí, uno che rubava la penna a tutti quelli che gli chiedevano un autografo, questo errore non l’avrebbe fatto. Se fosse qui con i suoi irripetibili baffi e i suoi occhi spiritati direbbe a Maurizio, dandogli una pacca sulla spalla, quella sua celebre frase: «Non aver paura della perfezione, non la raggiungerai mai».

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