Batterio nei germogli: disfatta del cibo salutista

I tedeschi assicurano: l’origine dell’epidemia nei legumi prodotti in una fattoria biologica. Sono di gran moda consumati crudi. E' la rivincita dei surgelati

Batterio nei germogli: disfatta del cibo salutista

Stavolta i tedeschi giurano che il colpevole sia stato trovato. Sono i germogli di soia (anzi di fagioli, ma pare che da noi si chiamino germogli di soia) ad avere trasmesso il batterio letale, la mutazione dell’Escherichia Coli. O sarebbero, forse, visto che i ricercatori erano sicuri anche nelle scorse settimane, quando hanno accusato, nell’ordine: cetrioli spagnoli; pomodori; insalate e in particolare la lattuga.

In ogni caso, ora l’Istituto Koch ha scagionato i vecchi sospettati (spagnoli e italiani annunciano già possibili richieste di danni a Berlino) e ha ufficialmente incriminato questi germogli, prodotti in una fattoria biologica vicino ad Amburgo, il Gaertnerhof. Ma le autorità sanitarie non escludono che ci siano altri tipi di germogli sotto accusa: «L’azienda ne produceva diciotto tipi, ma dato che non sappiamo ancora se c’è un tipo specifico di germoglio responsabile, tutti i tipi di germogli crudi sono sospettati» ha spiegato una portavoce del laboratorio che ha effettuato le analisi all’Ansa. Insomma la sicurezza c’è, ma non su tutta la linea, anche perché non si conosce ancora il motivo della contaminazione: la causa d’origine potrebbe essere in un concime (e non si sa da dove provenga, né se sia stato usato altrove), nei liquami animali che fanno tanto sapore secondo i patiti del bio (ma poi vanno tenuti sotto stretto controllo), in qualche animale in cui sia avvenuta la mutazione del batterio.

Tutti dubbi ancora da chiarire. Sulle tracce del killer, però, c’erano alcuni indizi inequivocabili: le vittime erano infatti soprattutto donne, amanti di una alimentazione sana, consumatrici di verdure, cibi crudi, biologici, a chilometro zero, niente grassi, niente chimica, niente cotture caloriche. I pazienti avevano frequentato ventisei ristoranti del Paese, dove avevano mangiato prodotti del Gaertnerhof. In particolare i germogli, ingeriti crudi, come vuole la regola del bravo salutista, e poi dimenticati (pochi ricordavano di averli infilati nell’insalata mista a buffet, subdoli come spesso sono le inezie).
E invece, chi l’avrebbe detto che un cibo magari distante qualche chilometro di più, magari cotto, magari perfino con la maionese, non sarebbe stato davvero più sano? Chi l’avrebbe detto che se le verdure, anziché appena colte, si comprano surgelate, forse si possono dormire sonni più tranquilli? Certo nessuna delle vittime immaginava che, mentre cercava una alimentazione più sicura, in realtà correva un rischio enorme, per alcuni mortale (le vittime sono salite a 31, i contagi sono quasi tremila).

È che a volte il mito del «si stava meglio cento anni fa» è davvero pericoloso, fa perdere di vista la realtà, cioè che, come ha scritto Paolo Rossi nel suo ultimo libro, Mangiare, siamo la generazione più fortunata, dal punto di vista alimentare.

Anche se alcuni dipingono scenari apocalittici e sostengono che solo il biologico, il chilometro zero, il puro e crudo ci salverà, pare che un bel freezer, o una passatina in padella, o qualche cibo un po’ più succulento (anche se di sicuro meno glamour dei germogli, per carità) non sia poi questo gran danno alla salute. Anzi.

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