Il bavaglio di Prodi

Quando si ricorre alle parole forti, come ha fatto ieri il professor Prodi a Palermo, significa che si è in difficoltà. Il linguaggio usato dal leader del centrosinistra per definire la politica della maggioranza è quello usato tradizionalmente dai mafiosi contro i loro peggiori nemici condannati a morte: «Infame la Finanziaria messa in piedi da questo governo e infame la volontà di cambiare in senso proporzionale la legge elettorale».
Un leader all'altezza della situazione avrebbe potuto dire che la manovra finanziaria è inadeguata, che sarebbe stato necessario tagliare questa o quella spesa, o che sarebbe stato meglio fare una diversa manovra fiscale, con un linguaggio e un contenuto qualificanti la sua linea politica. Avrebbe potuto dire che la proporzionale rischia di indebolire il bipolarismo e di frammentare il sistema politico, mentre ha preferito strillare che «la legge degli infami scardina la democrazia», come se si trovasse nel 1953 sui banchi dell'estrema che scagliava le tavolette contro De Gasperi, responsabile anche allora della «legge truffa».
Non sono questi gli argomenti di una decente anche se aspra lotta politica. Non meraviglia, dunque, che il Professore ora ricorra ad altri ben diversi argomenti: ha chiesto all'Unione di scendere in piazza, pensando che sia più facile dare ad intendere ai manifestanti di avere quella linea unitaria, politica e programmatica, che il centrosinistra non ha. O, meglio, che è proclamata dai settori più massimalisti della sinistra, di tradizioni comuniste, giustizialiste e populiste, con l'intento di dimostrare che alla fine sarà proprio questa a prevalere sull'intero schieramento d'opposizione.
È stato Il Riformista, il quotidiano della piccola corrente liberale della sinistra, a notare l'ambiguità del leader dell'Unione di fronte ai minacciosi proclami di Bertinotti. Scrive Antonio Polito: «L'elemento che fa diffidare delle primarie dell'Unione è il sospetto fair play con cui si gioca la partita tra i candidati. Ognuno copre l'altro e Prodi copre tutti». Quindi si interroga con meraviglia sul perché mai Prodi abbia già sdoganato Bertinotti il cui programma è ritenuto perfettamente compatibile con l'azione del governo futuro.
La verità è che il massimalismo domina a sinistra e tiene in scacco il suo leader candidato premier. È probabile che la piazza, convocata per domenica, applaudirà le rivendicazioni bertinottiane come una probabile piattaforma di governo: «ritiro immediato dell'Italia dalla guerra di occupazione in Irak», «forbice massima da uno a 10 delle retribuzioni minime e massime del settore privato e pubblico», «reintroduzione della scala mobile», «abbandono delle grandi opere», «abrogazione della legge Biagi», «tassazione di tutte le ricchezze finanziarie e patrimoniali...». Non c'è che dire: un bel programma comunistico, populistico e giustizialista all'insegna della demagogia.
E Prodi tace.

Ma può il Paese tacere di fronte all'inganno di chi si presenta con il volto pacioso e tranquillizzante dietro cui nasconde l'ambiguità verso quella parte della sua coalizione - almeno un terzo in voti e molto più per influenza - che vorrebbe riportarci ai nefasti dell'Est-europeo ai tempi dell'Unione Sovietica? Il socialdemocratico Gerhard Schröder, rompendo con la sinistra di Oskar Lafontaine e degli ex comunisti (Pds-Die Linke), ha retto l'assalto della Cdu di Angela Merkel. E Prodi che fa di fronte all'assalto di Bertinotti & C.?
m.teodori@agora.it

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