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Da B.B. ai politici, vite ostaggio di una foto

Una mostra londinese illustra la difficile battaglia di Brigitte Bardot contro i paparazzi. Oggi la deriva gossip ha preso di mira il "palazzo": dopo gli scherzi di Funari e le torte in faccia al Bagaglino, il bersaglio è Berlusconi

Da B.B. ai politici, vite ostaggio di una foto

Li odiava. Li vedeva come «gli Attila del XX secolo», gli adepti di un mestiere che «dove passa rovina, distrugge, avvilisce ogni cosa». La spiavano, la sorvegliavano, le tendevano agguati, la aggredivano... I loro strumenti di lavoro le sembravano delle armi da guerra: sempre puntate, sempre pronte a fare fuoco. Nessuno ha mai odiato tanto i paparazzi quanto Brigitte Bardot. Nessuno, suo malgrado, ha mai dato tanto ai paparazzi quanto Brigitte Bardot.
Non erano i capricci o le nevrosi di una star. In Vita privata del 1961, dove in fondo impersonava se stessa, una diva prigioniera della propria fama, il regista Louis Malle la fa morire per colpa di un flash... Glielo sparano all’improvviso, mentre dal tetto di una casa è intenta a guardare nella piazza sottostante lo spettacolo teatrale allestito dal suo amante (nel film, Marcello Mastroianni). Il lampo l’acceca, le fa perdere l’equilibrio e lei precipita nel vuoto al suono del Requiem di Giuseppe Verdi... Quattro anni dopo, durante il lancio americano di Viva Maria, all’ingresso dell’Aston Theatre di New York un altro flash, reale questa volta, scattato a pochi centimetri dal volto le provocherà il distacco della retina dell’occhio destro...
La mostra «Brigitte Bardot and the Original Paparazzi», che si inagura il 3 settembre prossimo alla James Hyman Gallery di Londra, racconta questa guerra senza esclusione di colpi (la Bardot, se il caso, menava, ma i fotografi non erano da meno) fra un’attrice decisa a difendere ciò che c’era dietro il suo corpo (un’anima, delle emozioni, dei sentimenti) e una categoria che della psicologia non sapeva che farsene, auto-convintasi che quel corpo le appartenesse, sempre e comunque, in pubblico e in privato... A parziale difesa va detto che quel corpo era magnifico, l’icona della bellezza selvaggia e moderna quale mai fino ad allora era stata vista e mai più sarebbe esistita, un’insieme di seduzione naturale e sfrontata, un inno panico dove i concetti di peccato e di impudicizia stavano tutti nella testa di chi si faceva spettatore di questa divinità pagana innocentemente libera. Eppure, basta leggere l’autobiografia che B.B. scrisse una quindicina d’anni fa per mettere in fila quattro tentati suicidi, molti amori falliti, un figlio mal amato, «una volontà di ferro e una pigrizia d’acciaio», uno spirito tanto ribelle quanto terrorizzato dalla solitudine, una carriera finita troppo presto, per noia, stanchezza, disgusto, una passione per gli animali cresciuta di pari passo con il disprezzo per il genere umano. «Più conosco gli uomini e più amo le bestie». Del resto, si sa, la bellezza non è democratica e dietro la caccia fotografica affannosa che le venne scatenata intorno, c’erano anche la diversità da ricondurre all’ordine, le invidie, i rancori e i complessi egalitari e di massa che reclamavano i loro diritti: «Non illuderti di sfuggirci. Sei nostra, ci appartieni».
Fotogenica al massimo, nemmeno gli scatti «rubati» riusciranno comunque ad aver ragione di lei, ma va anche detto che il fascino della mostra londinese è fortunatamente altrove, nelle foto in studio di Sam Levin, splendenti di seduzione, di luci e di colori, nel nudo di scena di In caso di disgrazia, nell’ironica e irresistibile sequenza che la vede nei panni di Charlot, scattata, lei consenziente, nei tempi morti di quel Viva Maria prima ricordato. Perché poi Brigitte non era Greta Garbo: la vita come mistero, il culto di se stessa, la paura di guardarsi allo specchio e non riconoscersi. Era una che voleva semplicemente vivere a modo suo... Ci riuscì, ma lo pagò amaramente.
Nel giro di mezzo secolo, la società dello spettacolo ha partorito questo mostro per cui il pubblico è diventato privato e viceversa e la profezia-augurio di Andy Wharol, «ciascuno avrà il suo quarto d’ora di celebrità» si è avverata. Quotidiani, settimanali e mensili rigurgitano di gente famosa che nessuno conosce e che durerà il tempo di un numero, una copertina, un lancio d’agenzia... Ogni due per tre si grida alla privacy, ma spesso e volentieri l’urlatore è lo stesso che organizzerà la prossima paparazzata che lo riguarda: falsa quanto una vita dove dietro l’apparenza non c’è più niente.
Nemmeno la politica è sfuggita a questa realtà, come le cronache ampiamente dimostrano, ma bisogna dire che ha la sua parte di colpe. Cominciò tutto più di vent’anni fa, quando i politici italiani pensarono che per non essere disprezzati si dovesse essere alla mano e presero ad affacciarsi titubanti a cantare in tv... Nel giro di poco si adattarono al «mammozzone» con cui in studio Gianfranco Funari li portava in giro prendendoli in giro, alle torte in faccia con cui si sottoponevano al giudizio del pubblico del Bagaglino... Adesso si invita al rispetto, al decoro, alla sacralità delle istituzioni, ma forse è troppo tardi.
Dietro le settantacinque immagini che compongono la mostra c’è un come eravamo che ci aiuta a capire meglio come siamo e che cosa siamo diventati.

Non c’è più una Brigitte Bardot, ma siamo pieni di paparazzi che la confondono con Berlusconi.

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