Antonio Lodetti
da Milano
Mai credere alla parola di B.B. King. L’anno scorso il bluesman più popolare del dopoguerra arrivò in Italia per la sua ultima tournée nel Vecchio Continente. Più di duecento concerti all’anno e un fastidioso diabete con 79 primavere sulle spalle consigliavano prudenza. Ma lui vive per il palco, dove le corde della sua Gibson luccicano negli assolo stilizzati ed eleganti che tutti cercano di imitare, dove s’impenna ancora la sua generosa voce tenorile ricca di contrasti. Così il re non abdica. Anzi, festeggia gli 80 anni in pompa magna con un ritorno in grande stile in Italia (la prima stasera in Piazza Duomo a Treviso, domani a Pistoia Blues, lunedì a Udine, martedì a Villa Erba di Como, il 14 a Roma al Centrale del Tennis) e con un regalo ai fan previsto per l’autunno: un nuovo album-celebrazione con stelle del rock come Eric Clapton ed Elton John. Prima di partire per l’Europa King ha partecipato all’apertura del cantiere per costruire un museo in suo onore a Indianola, Mississippi, la città dove ha vissuto a lungo.
Addirittura un museo in suo onore, l’avrebbe immaginato quando ha iniziato laggiù in Mississippi?
«Quand’ero ragazzo laggiù per un nero c’era solo violenza e miseria. Non c’era nulla, neppure l’elettricità, per questo sognavo la chitarra elettrica. Però la povertà e il disprezzo della gente mi ha dato la forza di lottare per diventare il numero uno. Spero che questo museo sia utile per ricordare non solo la mia storia, ma anche quella della nostra musica».
Ci sono molte leggende sui suoi esordi, ci racconti la verità.
«A 10 anni cantavo in chiesa, poi comprai a rate una chitarra rossa da 15 dollari e presi a suonare agli angoli delle strade per guadagnare qualche cent, ma nessuno mi dava una lira, così la tristezza mi spinse a suonare i blues».
Un blues raffinato però, non quello del Mississippi.
«Il blues è tutto uguale quando comunica emozioni. Certo io non ho lo stile ruvido di Robert Johnson, ma la radice è la stessa. Ho sempre cercato di restare fedele alle radici trasformando il blues secondo i cambiamenti della società; un tempo era la musica degli schiavi, poi è diventata quella degli uomini veri, quelli che hanno un cuore».
Cos’è per lei il blues?
«Blues vuol dire raccontare delle storie; parlare delle cose di tutti i giorni, delle cose che vanno bene e di quelle che vanno male. È la voce della coscienza che scopre misteri nascosti alla gente comune».
A 80 anni non è stanco di girare i palcoscenici di mezzo mondo?
«L’unico lusso che mi concedo - perché mi obbliga il medico - è quello di suonare seduto. Grazie a Dio la mia voce e la mia chitarra non hanno età».
Tra pochi mesi uscirà il suo nuovo cd.
«Si intitolerà B.B. King 80 Years Album e sarà una grande festa con ospiti come Elton John, Carlos Santana, Eric Clapton, con le persone che stimo di più. Con Clapton suonai per la prima volta nel ’67 al Café au gogo di New York, allora era un ragazzino con tanta voglia di stupire il mondo».
I puristi criticano le sue sscelte commerciali, vorrebbero ascoltare blues più tradizionale.
«Nel ’52 ho trovato il successo con Three O’ Clock Blues, ballata di Lowell Fulson dal suono nuovo e moderno. Quello è il mio stile preferito e non lo cambierò mai, è la mia firma.
Come scriverebbe lei di B.B. King?
«Un uomo onesto che ha consacrato la vita al blues e che dal fango del Mississippi ha conquistato il mondo. Un uomo che ama Dio e la pace e odia la violenza e la droga».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.