Economia

Bce, anche nel 2007 tassi d’interesse in rialzo

Il prossimo intervento previsto il 5 ottobre nella riunione che si terrà a Parigi

Rodolfo Parietti

da Milano

La Bce mette tutti sull’avviso: nel 2007, ha confidato ieri a Reuters un alto dirigente dell’istituto di Francoforte, i tassi potrebbero salire almeno al 4% se l’attuale ciclo economico positivo si rafforzasse e se l’inflazione continuasse a rimanere oltre il livello di guardia del 2%.
Per quanto inedito, lo scenario delineato dall’anonimo funzionario di vertice è perfettamente in sintonia con quanto il presidente della banca centrale, Jean-Claude Trichet, va ripetendo dalla fine di agosto, quando la decisione di lasciare il costo del denaro invariato al 3% venne accompagnata dalla formula «stretta vigilanza sui prezzi». Che nel linguaggio dell’Eurotower indica la necessità di alzare i tassi nel breve periodo. Trichet ha utilizzato la stessa espressione nel recente vertice del G7 di Singapore, spalleggiato da Axel Weber, membro del board, mentre ieri un altro componente del direttivo, Klaus Liebscher, ha ribadito che sui tassi non «è ancora tempo di relax». La strategia di comunicazione resta dunque la più trasparente possibile e punta inoltre a offrire l’immagine di una Bce perfettamente coesa sugli obiettivi da centrare e priva di quelle smagliature che stanno invece affiorando all’interno della Federal Reserve in materia di politica monetaria.
Nessuno, infatti, ha più dubbi sul fatto che entro la fine dell’anno il costo del denaro nella euro zona sarà attestato al 3,50%. Il nuovo rialzo, il quinto dallo scorso dicembre, arriverà il prossimo 5 ottobre nella riunione prevista a Parigi. Poi, Trichet avrà ancora due opportunità (il 2 novembre e il 7 dicembre) per confezionare l’ultimo aggiustamento del 2006. Con le dichiarazioni di ieri, seppur prive dei crismi dell’ufficialità, la Bce manda però un segnale altrettanto preciso sugli spazi che ancora rimangono per riportare su livelli più neutri tassi che anche il governatore di Bankitalia, Mario Draghi, nella riunione dello scorso week end del Fondo monetario internazionale, non ha esitato a definire «ancora straordinariamente bassi».
In modo indiretto, Francoforte ha così risposto anche a una analisi di qualche giorno fa del Wall Street Journal, secondo cui il forte calo dei prezzi del petrolio e il contestuale raffreddamento dell’inflazione (al 2,3% in agosto contro il picco del 2,5% toccato in maggio) potrebbero «complicare la vita» dell’istituto centrale europeo e «rendere politicamente difficile giustificare ulteriori rialzi dei tassi». La Bce non sembra tuttavia così convinta dell’azione di contenimento del carovita esercitata dalle quotazioni cedenti del greggio. Lo testimonia la revisione, effettuata alla fine di agosto, delle stime relative all’inflazione, prevista al 2,4% sia quest’anno, sia il prossimo e dunque ben oltre la soglia di tollerabilità del 2%. Eventuali pressioni di natura politica tese a impedire inasprimenti del costo del denaro, verrebbero quindi trattate come sempre: come un’ingerenza nell’autonomia dell’istituto.

E dunque rispedite al mittente.

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