La Bce promuove i conti pubblici dell’Italia

Nel 2011 e nel 2012 il nostro debito e quello della Germania saranno gli unici a non aumentare nell’Eurozona Considerata modesta la crescita della disoccupazione, salita del 2% tra il terzo trimestre 2007 e il secondo del 2010

È con «viva preoccupazione» che la Bce sta seguendo il risana­mento dei conti pubblici all’inter­no di Eurolandia. Il faticoso salva­taggio dell’Irlanda, i timori di un’estensione della crisi del debito sovrano a Portogallo e Spagna ac­compagnati dalle turbolenze dei mercati e dall’esplodere degli spread sui titoli di Stato, hanno re­so ancor più vigile l’istituto guida­to da Jean- Claude Trichet.Costret­to tra l’altro, proprio a causa del cre­scendo di tensioni, a rimandare l’exit strategy. La complessità della situazione, giudicata «tesa» sotto il profilo finanziario, è ben riassunta dall’Eurotower sia nel Bollettino mensile, sia nella Financial Stabili­ty Review. L’Italia, tuttavia, esce dall’analisi dell’istituto centrale di Francoforte a testa alta. Secondo l’Eurotower, infatti, «è probabile che il debito pubblico in rapporto al Pil aumenti in tutti i Paesi del­l’area euro nel 2011 e in quasi tutti nel 2012, a eccezione di Germania e Italia». Nel nostro Paese, inoltre, la disoccupazione è cresciuta po­co: dall’ultimo trimestre 2007 al se­condo 2010, il tasso dei senza-lavo­ro è salito del 2% portandosi al­l’ 8,5% (10% la media). Meglio han­no fatto solo Francia, Belgio e Ger­mania. Anche se molto resta da fare, vi­sto che l’indebitamento italiano è ben al di sopra del 100% del prodot­to lordo contro una media del­l’ 87,8%, l’impressione è che la Bce apprezzi il processo di ristruttura­zione delle nostre finanze pubbli­che. Non è poco. Anche perché dai due rapporti emergono in tutta evi­denza i rischi per la stabilità deri­vanti da una sorta di triangolo del­le Bermuda, i cui poli negativi sono rappresentati dalla crescita econo­mica non esaltante, dalle difficoltà di finanziamento di alcune ban­che e dagli squilibri fiscali. Ancora una volta, infatti, la Bce esorta i go­verni a proseguire sulla strada del risanamento delle finanze pubbli­che con «piani pluriennali credibi­li ». A giudicare dalla mossa di Fi­tch, che ieri ha tagliato il rating del­l’Irlanda di tre gradini a BBB+ da A+ lasciando stabile l’outlook sul lungo termine, molti dubbi resta­no s­ull’efficacia delle azioni imple­mentate da Dublino per contrasta­re la crisi del debito. In mancanza di progressi nel consolidamento fi­scale, la Bce vede aumentare le pos­sibilità di «una spirale insostenibi­le del debito» dovuta al forte au­mento dei premi di rischio». Scenario reso ancor più compli­cato dalla «continua dipendenza» di diverse banche dal sostegno pubblico. Tanto che «è necessario intervenire attraverso la ristruttu­razione, la riduzione del rischio e, ove necessario, la riduzione delle dimensioni del bilancio», vale a di­re la cessione di asset. Più in gene­rale, le banche dovrebbero aumen­tare i propri cuscinetti di capitale, incluse le regole transitorie in vista dell’applicazione di Basilea 3, in modo da rafforzare ulteriormente la loro resistenza a possibili nuovi choc». La Bce non fa i nomi degli istituti in difficoltà, ma nella serata di ieri Moody’s ha annunciato di aver messo sotto osservazione al­cune banche portoghesi per un possibile taglio del rating. Al secondo elemento di vulnera­bilità se ne aggiunge un terzo, più globale e dunque potenzialmente più rischioso in caso di evoluzione turbolenta.

Oltre alla guerra delle monete (un termine che non piace a Trichet) e alle sue implicazioni sulla stabilità della euro zona, è an­che al deficit commerciale Usa cui la Bce fa riferimento. Per giungere alla conclusione che queste vulne­rabilità possono «generare sorpre­se negative di potenziale importan­za sistemica». Insomma: altri guai - e grossi - non sono da escludere.

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