C’è una guerra globale delle monete in corso, ma Jean-Claude Trichet è come un generale senza munizioni. Dicono bene i francesi: à la guerre comme à la guerre . Nell’attuale situazione,significa prendere una posizione decisa, dura. Meglio ancora: agire. Il numero uno della Bce non può far nulla di tutto questo. «L’eccessiva volatilità dei cambi ha conseguenze avverse», si è limitato a dire ieri ricorrendo a una formula già sentita in altre circostanze. È un mantra che arriva stonato alle orecchie dei mercati: l’euro è infatti balzato oltre quota 1,40 dollari, ai massimi da otto mesi. «Tra pochi giorni avremo occasione di parlare di questi temi ( l’andamento delle valute, ndr) a Washington», ha aggiunto Trichet riferendosi agli incontri autunnali di Fmi e Banca Mondiale. Ma nessuno sembra disposto a scommettere un solo centesimo sul buon esito delle riunioni, vista la fermezza con cui la Cina continua a respingere il pressing di Europa e Stati Uniti teso a una rivalutazione dello yuan, da sommare alle misure già assunte dal Giappone per frenare lo yen e alla sostanziale inerzia con cui gli Usa non si stanno opponendono all’indebolimento del dollaro rispetto all’euro. La Bce è, oggettivamente, in una situazione delicata. Sul versante dei tassi, è come un alpinista che non può nè scendere, nè salire. Il costo del denaro è infatti rimasto inchiodato anche ieri al minimo storico dell’1%.Un livello «appropriato», ha ripetuto per l’ennesima volta Trichet.Gli analisti indicano come possibile una stretta monetaria non prima del 2011. Al momento, un giro di vite è assolutamente sconsigliato se si vuole evitare di soffocare una ripresa economica definita dal presidente dell’istituto centrale «moderata» e in un contesto in cui «l’incertezza continua a prevalere». Una stretta, inoltre, rischierebbe di fornire altra benzina alla corsa dell’euro, che ha accumulato nel 2010 un rialzo del 17% rispetto al dollaro e del 7% contro la media delle principali valute partner. Se dovesse mantenersi a questi livelli, la moneta potrebbe ridurre, secondo alcune stime, di mezzo punto la crescita dell’euro zona nel 2011. Già ora, comunque, siamo in una condizione di preallarme valutario. Allarme che le imprese faranno scattare non appena la moneta unica toccherà gli 1,45 dollari, per poi magari puntare verso 1,50. Si tratta di livelli sostenibili forse solo dalla Germania, che però perderebbe tutti i benefici ottenuti a inizio anno, quando il cambio era al di sotto di 1,20, ben visibili nella robusta crescita del Pil (+3,7%) del secondo trimestre. Sotto un altro punto di vista, è la stessa Bce che sta favorendo l’irrobustimento dell’euro con la graduale rimozione dei provvedimenti al di fuori degli standard come i rifinanziamenti a “rubinetto“ alle banche, o misure «non convenzionali» a sostegno dei mercati e di alcuni segmenti sotto stress, come quello dei titoli di Stato dei Paesi periferici. «Tutto dipende dalla situazione che vediamo nel nostro mercato - ha spiegato Trichet - . Ovviamente stiamo procedendo nel percorso deciso verso una progressiva rimozione delle misure non convenzionali» che al momento «sono ancora necessarie ». Le banche, in ogni caso, «ci chiedono meno fondi di prima». Un segnale di miglioramento. Mentre la Bce sottrae liquidità al sistema, negli Stati Uniti la Federal Reserve segue un percorso opposto. Essendo la crescita economica e la lotta alla disoccupazione due obiettivi primari ben fissati nello statuto, la banca centrale guidata da Ben Bernanke ha già annunciato l’intenzione di riaprire i cordoni della borsa, con acquisti di bond che implicano un maggior afflusso di liquidità nel sistema. Le future mosse della Fed hanno già contribuito a un ulteriore calo del dollaro. Neppure i timori legati al debito sovrano di alcuni Paesi di Eurolandia, a cominciare dall’Irlanda, hanno modificato un quadro di fondo in cui l’euro sembra destinato a salire ancora. Il problema è che quasi tutti i Paesi sono nella stesse condizioni macroeconomiche: bassa crescita e bassa inflazione. Così nessuno è disposto a muovere un passo.
Neppure la Cina: una rivalutazione dello yuan del 20% potrebbe riflettere i fondamentali del Dragone, ma al tempo stesso si tradurrebbe in una perdita di competitività, costituirebbe un innesco per la deflazione e farebbe scoppiare la bolla immobiliare. Così come accadde al Giappone dopo gli accordi del Plaza, alla fine degli anni ’80, per il deprezzamento del dollaro .Bce senza armi nella guerra delle monete
Un indebolimento della nostra valuta potrebbe essere ottenuto con un taglio dei tassi (fermi all’1%), ma per l’istituto non è una strada praticabile. "L’eccessiva volatilità ha conseguenze avverse": Trichet delude i mercati
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