Milano - È crollato un altro muro, quello degli 1,60 dollari per un solo euro. La picconata decisiva è arrivata ieri da uno dei falchi della Bce, il governatore della Banca di Francia, Christian Noyer. «La questione - ha spiegato Noyer in un’intervista alla radio francese Rtl - è assicurare che l’anno prossimo il tasso d’inflazione rientri sotto il 2% su base annua (ora è al 3,6%, ndr). Se sarà necessario muoveremo i tassi d’interesse, per ora li lasciamo fermi perché il livello attuale ci pare appropriato».
Le dichiarazioni di Noyer hanno spinto l’euro fino a un massimo di 1,6019 dollari, con ripercussioni anche sul mercato petrolifero, dove il Wti ha toccato a New York il record di 119,90 dollari al barile. E non poteva essere altrimenti. Se la scorsa settimana l’Eurotower si era lamentata della sostanziale indifferenza con cui i mercati avevano reagito alla presa di posizione del G7 sui rapporti di cambio, parole come quelle di Noyer precisano senza possibilità di errore le intenzioni future dell’istituto di Francoforte. Il presidente Jean-Claude Trichet, peraltro, pur entrato controvoglia nel dibattito infinito sulla necessità di ridurre il costo del denaro, non ha mai dato l’impressione di prendere in considerazione alternative a un giro di vite dei tassi.
La conferma? Eccola: «La Bce ogni mese si domanda se è il caso o meno di alzare i tassi per contenere l’inflazione», ha detto ieri Yves Mersch, governatore della Banca del Lussemburgo.
Noyer ha indicato una sorta di linea temporale entro la quale l’Eurotower può mantenere l’attuale wait and see, cioè l’intero 2008. Poi, se i prezzi non dovessero riavvicinarsi al target di riferimento, la sterzata in chiave restrittiva sarebbe inevitabile. A congiurare contro l’opera di raffreddamento dei prezzi è però il petrolio. Il picco di ieri, accompagnato dal top di benzina (1,413 euro il litro) e di gasolio (ormai a un soffio da 1,4 euro), è solo l’ennesimo anello di una catena di record destinata verosimilmente ad allungarsi ancora.
L’Opec si è impegnata ad alzare la produzione di 5 milioni di barili al giorno entro il 2012, mentre la capacità produttiva verrà aumentata di 9 milioni di barili al giorno entro il 2020. Nell’immediato, tuttavia, il Cartello non sembra disposto a compiere nessuno sforzo per stemperare la febbre delle quotazioni. «I prezzi li fa il mercato, non l’Opec», ha affermato il ministro del Petrolio del Kuwait, Mohammed Abdullah Al-Aleem. L’organizzazione imputa soprattutto alla componente speculativa, e non a una carenza di offerta, l’escalation dei prezzi. L’Unione europea intende rispondere alla crisi con una diversa regolamentazione delle riserve strategiche di greggio, mentre il sottosegretario all’energia Usa, Jeffrey Kupfer, considera «limitati» i margini di manovra e invita i produttori a tenere «ben fornito il mercato», dal momento che l’attuale livello dei prezzi «è un danno per l’economia».
Resta da vedere fino a che punto la perdita di potere d’acquisto da parte dei consumatori, a causa dei continui rincari di materie prime e generi alimentari, si tradurrà nella richiesta di quegli aumenti salariali che proprio la Bce vede come il fumo negli occhi.
«Avvertiamo tutti i capi d’azienda - ha ammonito Noyer - che non devono far evolvere i salari e i margini come se l’inflazione dovesse restare al 3,5%. Bisogna allinearsi al nostro obiettivo, che è inferiore al 2%». Un traguardo che però sembra allontanarsi giorno dopo giorno.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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