Il bebè seviziato e ucciso dopo un coca-party

GenovaLui accusa lei. Lei insiste che dormiva, che non sa, che non ha visto. E scarica sul nuovo compagno. Ma Alessandro, 8 mesi, deve avere gridato forte quando gli hanno spento le sigarette sull’inguine e sulle orecchie, l’hanno pizzicato al collo fino a fargli venire i lividi. E quando è stato sbattuto contro il muro fino a rompergli la testa.
La giovane mamma e il suo nuovo fidanzato erano imbottiti di cocaina. «Avevamo pippato», ha ammesso lei al suo avvocato. Ora entrambi sono in carcere con l’accusa di omicidio volontario.
È una ricostruzione raccapricciante quella degli inquirenti che indagano sulla morte di Alessandro Mathas, portato la mattina di martedì scorso dalla madre, la ventiseienne Katerina Mathas e dall’amico di lei Giovanni Antonio Rasero, 29 anni, al pronto soccorso del Gaslini di Genova. Una notte di sevizie che si è conclusa con l’uccisione del neonato. Per entrambi, il pm Marco Airoldi ha formalizzato l’accusa di omicidio volontario. Ma non sono ancora chiari i contorni di quanto è avvenuto fra la mezzanotte di lunedì scorso e la mattina di martedì nel monolocale di un elegante residence del levante genovese, in viale della Palme a Nervi.
Katerina e Giovanni si conoscevano da circa un mese. Lui, separato con due figli, aveva lasciato la sua casa di Albaro per trasferirsi da solo nel monolocale in affitto. Una stanza con angolo cottura, ma al secondo piano del condominio più bello di Nervi, con piscine e campi da tennis, lo stesso dove, quando arrivano in città, vanno a vivere i calciatori. Lui è broker marittimo e la sua posizione economica è solida, la disponibilità di denaro non gli è mai mancata. Amici comuni, qualche cena, e conosce Katerina. Molto bella e già mamma. Lei era stata segnalata alla Prefettura come tossicodipendente, ma non risulta che la sua difficile situazione sia stata monitorata dai servizi sociali del Comune, come avviene spesso in casi simili.
I due si frequentano, stanno insieme occasionalmente, senza legami stabili. È presto per qualcosa di più, si conoscono da poco. L’altra sera l’uomo va a prendere la ragazza in casa di amici. Il piccolo Alessandro è con la mamma e i tre arrivano intorno alle 11.30-mezzanotte nel monolocale di lui.
Un buco nero inghiotte il resto della serata e si porta via la vita di Alessandro. La mattina, intorno alle 10.30 la portinaia dello stabile vede uscire la coppia con il bambino in braccio. Corrono? «No, dirà lei, andavano calmi, per questo sono rimasta male quando ho saputo che il piccolo era morto». Sono i medici del Gaslini a chiamare la polizia.
All’una dell’altra notte, in Questura, Giovanni ha raccontato la sua verità. «Era buio, ho sentito sbattere, ma ero confuso per la coca - avrebbe detto agli uomini della Squadra mobile coordinati da Gaetano Bonaccorso -. Ho visto Katerina che stava sbattendo Ale, non so... lei mi ha fatto segno di star tranquillo, che stava bene. E io mi sono rimesso a dormire».
La ragazza è rinchiusa nel carcere femminile di Pontedecimo in isolamento, perché mamme su cui pesano questi sospetti qui rischiano. Lei continua a ripetere la sua versione, così come ha fatto per tre volte davanti al pm Marco Airoli, senza cadere in contraddizione, sostiene il suo legale. Spiega di essere uscita un’ora nel cuore della notte lasciando il neonato in casa, e al suo ritorno ha controllato che il piccolo, che riposava sul divano, stesse bene. Quindi si è messa a dormire.

Sarebbe stato l’uomo, alle 10 e mezza del mattino a svegliarla dicendole che Alessandro non si muoveva più. Katerina adesso piange. «Chi mi ha portato via il mio cucciolo? Non posso credere che non ci sia più», si dispera. Ma è tardi.

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