nostro inviato a Parma
Report, la trasmissione di Nostra signore delle Inchieste Milena Gabanelli, aveva perfino scherzato sulla «impressionante lista di impressionisti» spariti dalla villa di Calisto Tanzi lasciando sui muri lombra delle cornici. Era domenica scorsa e la mattina dopo, in tribunale, il fondatore della Parmalat aveva replicato con sicumera: «In casa mia non ci sono caveau». Non era mai stato in Svizzera, come ipotizzato dal programma di Raitre, e tra le mura domestiche non nascondeva «nessuno dei quadri di cui ha parlato la trasmissione».
Avevano ragione tutti e due: la Gabanelli nel dire che i dipinti erano spariti, e l'ex re del latte nel negare di tenerli nel sottoscala. Infatti li aveva affidati al genero Stefano Strini, marito della terzogenita dei coniugi Tanzi, Laura, professione farmacista, la figlia più giovane, l'unica rimasta estranea alle indagini sul crac di famiglia che riguardò il gruppo Parmalat, le agenzie turistiche Parmatour (riconducibili alla sorella Francesca) e il Parma calcio (al fratello Stefano). Prima che il dissesto finanziario esplodesse in tutta la sua vastità (un crac da quattordici miliardi di euro), Calisto aveva affidato i beni più preziosi al ramo della famiglia che sarebbe stato risparmiato dagli inquirenti.
Il mistero del «tesoretto» aleggia da sei anni. Tanzi ha messo da parte dei soldi? Dove? Quanti? Come li ha investiti? Gli investigatori gli hanno bloccato conti correnti, sequestrato imbarcazioni, impedito movimenti di contanti o altro.Finora nulla era saltato fuori, nemmeno una traccia che potesse condurre al denaro accumulato in tanti anni di contabilità truccate, somme sottratte ai bilanci, prospere società nei paradisi fiscali. E lex numero uno di Parmalat protestava indigenza: non aveva messo da parte neppure un centesimo, ripeteva. Non aveva una lira da restituire ai risparmiatori cui aveva bruciato fior di capitali.
C'è voluta la Gabanelli per accelerare la soluzione del giallo. Domenica scorsa Report avvalora il sospetto di un patrimonio in quadri fatto sparire. Lunedì mattina scattano nuove indagini. Viene sentito lex autista del cavaliere, un suo uomo di fiducia che gli fece anche da guardaspalle e già aveva collaborato con la giustizia. È lui a mettere sulla strada giusta gli uomini della Guardia di finanza di Parma, guidati dal comandante provinciale generale Piero Burla. Vengono autorizzate le intercettazioni telefoniche.
Così si scopre che i quadri misteriosi ci sono, eccome. Che sono nascosti nei ripostigli di tre abitazioni: quella della figlia Laura, una villetta di campagna non lontana dalla dimora paterna ad Alberi di Vigatto alle porte di Parma, e quelle di due amici, uno a Parma laltro a Pontetaro, persone che gli inquirenti giudicano «ignari» di custodire tanta ricchezza. Avrebbero fatto un favore a Strini aprendo le porte di cantine e garage per custodire quel materiale imballato e ingombrante, ma non per le dimensioni.
La Gdf scopre anche che è ottimamente avviata una difficile trattativa per vendere in blocco il tesoretto. Gli acquirenti sarebbero un gruppo di ricchi russi, e la consegna doveva avvenire entro pochi giorni a Forte dei Marmi. Gli agenti lavorano giorno e notte, si alternano ininterrottamente agli apparecchi che registrano le conversazioni. Finché non ascoltano la chiacchierata giusta, quella che incastra il genero di Tanzi. Stefano Strini viene convocato in procura e messo alle strette. Le ipotesi di reato sono ricettazione e favoreggiamento. Strini cede.
Da cantine e soffitte saltano fuori capolavori assoluti dellarte contemporanea. Una vera pinacoteca. Un ritratto di ballerina, matita su carta di Edgar Degas. Un autoritratto di Antonio Ligabue. La scogliera di Pourville di Claude Monet. Una natura morta di Paul Gauguin. Un tronco dalbero di Vincent Van Gogh. Una natura morta di Pablo Picasso. Un ritratto di signora, a grandezza naturale, di Giuseppe De Nittis. E ancora, imballati, un olio di Manet, una natura morta di Van Gogh, un acquerello di Cézanne, un pastello di Pizarro, un paesaggio di Severini, una illustrazione di Grosz, una «matita di bergerie» di Modigliani. Una collezione di 19 tra dipinti e disegni di grandissimo valore: la «scogliera» di Monet doveva passare di mano per dieci milioni di euro, nel loro complesso le opere sono state stimate (probabilmente per difetto) allincirca un centinaio di milioni.
È stata Report, dunque, a stimolare le indagini. Onore al merito.
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