Beirut dedica un asilo a Bettino Craxi «Costruttore di pace in Medioriente»

Presentato nella capitale libanese alla presenza della figlia Stefania, un volume con gli scritti dell’ex leader Psi sulla questione arabo-israeliana

Gianni Pennacchi

nostro inviato a Beirut

Si ha l’impressione che tutti, da Abdul Rahman Solh a Walid Jumblatt, attendessero un’occasione come questa per avviarsi all’uscita del tunnel, saggiare la risalita dal pozzo in cui l’assassinio di Rafic Hariri ha precipitato il Libano. Non di soldi si tratta, perché anzi ne arrivano a fiumi e la ricostruzione di Beirut avanza impetuosa, ma di uno spunto politico, quella piccola leva ideale necessaria ad uscir dallo stallo. E sarà che la memoria di Bettino Craxi qui è viva e concreta, al di là di quanto si immagini in Italia, sarà che accanto a Stefania Craxi ieri sedevano il Commissario europeo Franco Frattini e la sottosegretaria Margherita Boniver, tant’è che la reazione della classe dirigente libanese, dai difensori di Hezbollah ai più strenui avversari della Siria, trabocca di soddisfazione, stupendo gli osservatori più provati.
Che sia questa, la modalità più saggia per rendere onore alla memoria di un leader lasciato morire in esilio sei anni fa? Oggi la figlia va a visitare i campi palestinesi, che raccolgono i 400mila più sfortunati di tutti i profughi. E se da noi almeno Aulla ha dedicato una piazza a Bettino Craxi, nel campo di Borg el Baranje c’è un asilo infantile intitolato al leader socialista.
Segno che la memoria di questa gente provata dalla sorte, è più solida della nostra. Ad ogni livello, perché il libro che la Fondazione Craxi è venuta a presentare a Beirut è stato accolto come prezioso e attuale per riportar la pace in Libano e nel Medioriente. «La pace nel Mediterraneo», s’intitola. In arabo per ora, l’edizione italiana giungerà presto, ma le personalità libanesi sollecitano già «edizioni in inglese e francese, perché anche in Occidente dev’essere diffuso». Raccoglie scritti e discorsi di Craxi dal 1967 al 1991, sulla questione arabo-israeliana e le crisi libanesi.
In Libano il suo ricordo è vivo, non solo per quando venne in visita dopo aver inviato, era presidente del Consiglio, il contingente italiano di pace. Ma anche, e forse più, per l’azione svolta quale commissario Onu, che dopo aver affrontato il dramma del debito del Terzo mondo, su incarico del segretario generale Butros Ghali prese di petto quello del Libano e dell’intero Medioriente.
Solh è anche segretario aggiunto della Lega araba, vive barricato come tutti i politici libanesi ormai dopo la «catastrofe» (così la definisce ogni parte politica) dell’attentato ad Hariri, ma stupiva mentre spiegava a Stefania, la sera prima in un incontro privato: «Tuo padre diceva che questi problemi si risolvono ai tavoli negoziali, riconoscendo pari dignità ad ogni interlocutore». E ancora ieri mattina, alla presentazione del libro: «La figura di Craxi, il suo pensiero e la sua linea, sono essenziali per il processo di pace nel Mediterraneo e in particolare per il Libano». Anche Doureid Yaghi, vicepresidente del Partito socialista progressista libanese, ritiene attuale la lezione di Craxi che «come noi, riteneva necessario che l’Onu si riappropriasse del suo ruolo nella difesa della legalità internazionale». Volete saperla tutta? In Libano pensano che «la feroce campagna condotta nei confronti della sua persona abbia avuto a che fare con il suo pensiero». Ne è convinto pure Jumblatt, che vive anch’egli asserragliato nel castello druso sui monti di Mohtara, e auspicando la cacciata delle truppe siriane dal Libano rammenta «bene la posizione sulle questioni del Medioriente» di Bettino Craxi.
Certo, Craxi «non si sognava di esportare la democrazia», ha ricordato Stefania, e «non ha avuto la fortuna di veder compiersi le sue speranze».

Ma all’approccio europeo e alla tradizionale politica estera italiana, aveva aggiunto un quid che faceva la differenza e che ancora oggi, almeno qui, non si dimentica: «Pensava ai popoli, ai loro diritti, alla loro libertà».

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