"Bella cifra, ma non basta a spingere l'economia Usa"

Alberto Quadrio Curzio, economista e preside della Facoltà di scienze politiche dell’Università Cattolica di Milano, non promuove a pieni voti la Fed, anzi

«Seicento miliardi di titoli da acquistare entro giugno? È una bella cifra: ma non credo che otterrà grandi risultati per l’economia americana». Alberto Quadrio Curzio, economista e preside della Facoltà di scienze politiche dell’Università Cattolica di Milano, non promuove a pieni voti la Fed, anzi.
A che cosa può servire questa decisione della Fed, a suo avviso?
«Terrà certamente i tassi più bassi, ma non credo che ne deriverà uno stimolo alla crescita americana. Infatti, l’economia Usa è già piena di liquidità, ma non è bastato a incrementare la domanda interna, né l’occupazione, che infatti non riprende. Certo, il dollaro si indebolirà ulteriormente e questo dovrebbe tradursi in una spinta alle esportazioni: ma anche su questo ho qualche dubbio».
Per quale motivo?
«Perché il sistema produttivo americano non è strutturato per offrire prodotti manifatturieri con mercati ampi a livello mondiale: in parole povere, non credo che gli Usa si metteranno a esportare auto o frigoriferi. Piuttosto, questa operazione della Fed svaluterà i titoli di Stato, a danno di chi li detiene come riserva».
E quali saranno i riflessi di questa operazione sull’Europa?
«È chiaro che un’ulteriore svalutazione del biglietto verde rispetto all’euro danneggerà le esportazioni del Vecchio Continente. Come dicono gli americani, “il dollaro è la nostra moneta ma un vostro problema”: perché è la riserva su scala mondiale, oltre che l’unità di cambio per le materie prime, che a questo punto sono a rischio di inflazione. Basta vedere l’enorme incremento che ha avuto l’oro, superiore alle stesse ipotesi di svalutazione del dollaro».
La Banca centrale europea sta per riunirsi: che decisioni prenderà?
«Non credo che seguirà gli Stati Uniti. La moneta unica potrà rafforzarsi, e questo, come dicevamo, non è certamente un beneficio per le esportazioni. Ma il cambio non è tutto: la Germania, ad esempio, nonostante l’euro forte, continua imperterrita a esportare. Come del resto fa anche il Giappone, malgrado il cambio sfavorevole dello yen rispetto al dollaro. Questo dimostra che se un sistema manifatturiero ha un mercato mondiale resiste, anche se la valuta gli gioca contro».


E per l’Italia, che cosa dobbiamo aspettarci?
«La nostra è una posizione certamente più difficile: prima di tutto perché abbiamo il problema dell’importazione delle materie prime energetiche, poi in quanto i nostri prodotti destinati all’export sono molto più sensibili al cambio sfavorevole rispetto a quelli tedeschi. Non abbiamo, per intenderci, le Mercedes o le Audi: abbiamo la moda, è vero. Ma dobbiamo anche comprare l’energia: e questo pesa».

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