Cultura e Spettacoli

Bellocchio diventa enigmista: «Non voglio spiegare tutto»

L’autore parla del film con Castellitto, di cui è il primo ad ammettere la complessità

Pedro Armocida

da Roma

«Per me un film nasce da un’immagine», scrive Marco Bellocchio nelle note di regia che accompagnano l’uscita del suo nuovo e atteso lavoro, Il regista di matrimoni, distribuito da venerdì in duecento sale e candidato ad aprire la sezione Un certain regard al prossimo Festival di Cannes. E per meglio chiarire il suo punto di partenza e di arrivo così ha teorizzato ieri con i giornalisti: «Credo nel primato delle immagini. In tempi di stradominio della televisione il cinema è sempre più piccolo. Anche nei film più decorosi l’immagine è al servizio delle parole e dei grandi attori». La ricerca bellocchiana va chiaramente in senso opposto. Al punto che lo spettatore può essere vittima di un positivo spiazzamento di fronte a un film per certi versi criptico anche se frutto di una sceneggiatura lineare che racconta di un regista di successo, Franco Elica (interpretato da un grande Sergio Castellitto), in crisi per via del matrimonio della figlia e perché costretto a girare l’ennesima versione de I promessi sposi. Elica in fuga da queste responsabilità arriva nella Sicilia più profonda dove conosce un uomo (Bruno Cariello) che gira filmini di matrimoni. Proprio lì, invitato a riprendere le nozze di Bona Gravina (Donatello Finocchiaro) figlia del principe decaduto Ferdinando Gravina (Sami Frey), s’innamora della donna e tenterà di salvarla strappandola al matrimonio.
«È un’avventura misteriosa e incomprensibile - spiega ancora il regista de I pugni in tasca - in cui la trama e la struttura narrativa sono coerenti ma procedono per sequenze non finite. Non mi interessava un plot in cui tutto ha una sua ragione e viene spiegato». Ma in questa sospensione del senso il regista piacentino dissemina ancora una volta le sue molliche di pane che servono per ritrovare la strada della sua ricerca intellettuale. Ecco allora gli accenni all’idiozia dell’artista («Vedo nella sua figura, purezza ma anche grande ingenuità»), al rapporto con l’altro sesso («È indiscutibile che io abbia difficoltà con le donne, ma il personaggio di Castellitto è consapevole che lì si cela il punto di scontro dove può vincere o perdere»), all’Italia di oggi dove «comandano i morti» e per estensione la tv («Il cinema è pieno di idee vecchie mentre il potere televisivo ha dimostrato di essere onnipotente, annichilendo e ipnotizzando le persone, tanto che metà degli elettori hanno creduto alle promesse di Berlusconi»), al matrimonio («Il personaggio femminile non ne accetta l’ineluttabilità»), all’uso delle videocamere digitali («Molti anni fa si diceva che l’Italia è un Paese di poeti oggi si può dire di registi. Volevo dare il senso di questo controllo che nel film è anche in parte metafisico, l’occhio di Dio»). Così tra immagini di celebrazioni un po’ eccessive di matrimoni in stile neocatecumenale, sequenze di processioni col Cristo morto, e più in generale a tanti riferimenti alla religione, Marco Bellocchio, a quattro anni da L’ora di religione, propone le sue variazioni sul tema da un punto di vista, come sempre, non convenzionale: «Affermare oggi il proprio ateismo è fuori moda perché da varie parti c’è un’esplosione di conversioni. Io da candidato uscente della Rosa nel Pugno sono però molto tollerante perché non parto dalla lotta alla religione ma dalla considerazione di non essere un credente». E su quest’affermazione s’inserisce Sergio Castellitto che annuendo dà inizio a un simpatico siparietto: «Da attore credente ho lavorato benissimo con un regista ateo e posso confermare la sua più assoluta tolleranza. Tanto che vorrei girare con lui un terzo film». Gli risponde Bellocchio: «Forse perché, insinueranno i cattolici dubbiosi, anch’io sono credente». E siccome Il regista di matrimoni è un film molto complesso, pieno dei riferimenti più diversi, ecco che spunta l’attesa domanda sulla vicinanza tematica contro una certa italietta propria anche de Il caimano di Nanni Moretti. «Un film che non ho visto e che andrò a vedere con calma» dice un Bellocchio sibillino che aggiunge: «Tra Nanni e me ci sono però due differenze fondamentali. In lui c’è un primato della parola, io cerco un'altra strada attraverso l’immagine, nel tentativo di andare dalle tenebre verso la luce. La sua visione del mondo invece è assolutamente disperata e cupa».

Non proprio un complimento anche se Bellocchio ci tiene a sottolineare di non volersi fare pubblicità andando contro un collega.

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