Cultura e Spettacoli

Bellocchio e il mal di pancia della sinistra

La premessa è sempre la stessa, del tipo: «Stimo Rutelli, è una persona intelligente, come vicepremier saprà farsi valere. Ma...». Sono passati solo cinque mesi dalla nascita del governo Prodi e la luna di miele tra cinema italiano e il ministro ai Beni culturali pare già finita. Forse non è mai cominciata. Di sicuro la cronaca registra in queste settimane, nonostante il gran sbattersi di Rutelli al Lido e dintorni, un deciso raffreddamento dei rapporti. Magari è stata la partita di Cinecittà Holding a riacutizzare l’atavica diffidenza, visto che su quel fronte il ministro ha fatto tutto da solo, offrendo qualche contentino a Ds e Rifondazione, ma riservando la polpa - il potere in materia di cinema pubblico - a due fidati uomini della Margherita.
Non sorprende quindi che il crescente malumore, prima sotterraneo o trattenuto, alla fine sia esploso. E stavolta non è il solito Citto Maselli, gran consigliere di Bertinotti, a innalzare alti lai, bensì uno fuori dai giochi come Marco Bellocchio. Ritirando un premio a Ischia, ha spiazzato l’uditorio così: «Questo governo di centrosinistra si sta comportando come quello precedente di centrodestra. Auguro scelte più coraggiose e innovative, ma per ora vedo immobilismo e prassi lottizzatorie». Accidenti. D’accordo, nel suo recente Il regista di matrimoni, Bellocchio teorizza che «in Italia comandano i morti»; stavolta non di metafora si tratta, però, visto che l’obiettivo dell’invettiva sembra proprio Rutelli: accusato di aver piazzato qualche «politico deluso dalle elezioni» (il riferimento è a Stefano Passigli, ora presidente del Luce, ndr) alla testa di importanti cine-istituzioni. Il regista di La Cina è vicina salva solo l’amministratore delegato del Luce, Luciano Sovena, nominato due volte in quota An, una con Urbani, una con Buttiglione, e brillantemente confermato due mesi fa da Rutelli (andrebbe pure bene, se l’uomo nel professarsi ora gran amico di Ds e Rifondazione, non definisse il Giornale un quotidiano «fascista»).
In ogni caso, Bellocchio interpreta un senso di delusione alquanto diffuso nel cinema di sinistra. La controprova? Rutelli non s’era ancora insediato a via del Collegio Romano che il regista Giuseppe Piccioni, solitamente appartato, dalla prima pagina dell’Unità spediva una fluviale lettera aperta ai leader dell’Unione per chiedere, evocando «tavoli di concertazione» e paventando «inciuci» sulle nomine, che «si manifesti davvero la volontà di mettere in discussione quei comportamenti che non sono patrimonio esclusivo della destra». L’intervento fu giudicato da alcuni colleghi «un bisturi affilato e preciso», utile a scardinare «le logiche delle conventicole»; in realtà tradiva un ingenuo stato d’animo che potremmo riassumere così: politici di sinistra, ridateci la voglia di sognare, siate all'altezza del nostro sentire, non deludeteci col piccolo cabotaggio, ma nel frattempo consultateci prima di prendere decisioni sulle cose che ci riguardano. Rutelli s’è molto consultato, poi ha deciso in solitudine, piazzando qualche regista nei cda per far contento Maselli (Maurizio Sciarra al Luce, Wilma Labate a Cinecittà Holding). Troppo poco per abbindolare la corporazione.

Infatti date uno sguardo all’Almanacco del cinema italiano appena pubblicato da MicroMega e capirete perché i tamburi di guerra sono pronti a rullare.

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