Stenio Solinas
nostro inviato a Cannes
La nostalgia non sarà più quella di un tempo, come diceva Simone Signoret, ma a dieci anni dalla scomparsa il documentario su Marcello Mastroianni trasforma il 59° Festival di Cannes in un tributo alla memoria di un certo tipo umano e un certo modo di fare cinema. Se ne conosceva l'importanza, ma è la sua irripetibilità a elevarne la grandezza e insieme ad acuirne il rimpianto.
Nelle vetrine delle librerie cittadine fa bella mostra di sé il volume fotografico Marcello! (Seuil editore) che raccoglie centotrenta fotografie, in gran parte inedite, scattate da Tazio Secchiaroli in quarant'anni di amicizia e di frequentazione professionale. Curato da Giovanna Bertelli è il compagno di viaggio perfetto per il film Marcello, una vita dolce, di Mario Canale e Annalisa Morri presentato ieri: la storia dell'italiano bello, paziente e gentile, ironico e apparentemente pigro, disponibile eppure segreto, lo sguardo da eterno ragazzo. E può anche darsi che sia una sorta di «effetto Mastroianni», ottimistico, allegro, poco portato alle polemiche, a spiegare il calore di pubblico e di critica che circonda la presenza italiana al concorso. Dei due film già visti, Il regista di matrimoni di Marco Bellocchio e Anche libero va bene di Kim Rossi Stuart, entrambi salutati da lunghi applausi, la stampa internazionale ha scritto con una passione superiore a quella della stessa stampa italiana, come al solito più portata al sacrificio tribale nei confronti del proprio sangue, e per restare al regista del secondo, il suo aspetto fisico seducente non ha messo in ombra la finezza psicologica con cui ha saputo trattare il delicato mondo dei bambini. Da domani sarà la volta di Moretti, Sorrentino, Calopresti e l'interesse appare destinato a crescere.
Dei centosettanta film girati nell'arco della carriera, quello che di Mastroianni continua a sorprendere è la straordinaria versatilità, un gusto quasi a moltiplicare i ruoli e le facce: il prete e l'impotente, l'uomo incinto e l'omosessuale, il fallito e l'assassino. «Senza volere apparire snob, i francesi indicano con il verbo jouer, giocare, il mestiere di reciter, recitare. E giocare vuol dire proprio divertirsi, essere un ragazzino ai giardini pubblici: io faccio il poliziotto, tu fai il ladro... Spiegato così è tutto più bello». Costruito sulla voce narrante di Sergio Castellitto che fa da contrappunto a quella così particolare dell'attore scomparso, con estratti di film, immagini prese sul set, ricordi delle figlie Barbara e Chiara, di attori, registi e musicisti che gli furono amici e/o colleghi di lavoro (da Visconti a Fellini, da Trovajoli a Monicelli, alla Loren, alla Cardinale), di estratti da un vecchio documentario degli anni Sessanta realizzato da Antonello Barca nel momento della massima popolarità dell'attore, Marcello, una vita dolce, racconta anche e soprattutto questo: la vita di un eterno ragazzo flaneur, di una specie di Oblomov di Cinecittà, per il quale andare sul set significava divertirsi. E, come ogni ragazzo che si rispetti, Mastroianni ha sempre giocato seriamente, con attenzione, con puntiglio, con determinazione.
La passione francese per questo attore baciato dalle donne, dalla fama e dal successo è nota, favorita anche dal fatto di essere stato il compagno di una delle attrici più amate di Francia, Catherine Deneuve, di aver avuto da lei una figlia, Chiara, nata a Parigi, di aver vissuto in questa città e di esserci morto, nel dicembre del 1996. Ma c'è anche un altro elemento più sotterraneo e psicologico che varrebbe la pena di sottolineare, perché Mastroianni è in fondo l'italiano che i francesi vorrebbero essere. Naturalmente elegante, seduttore suo malgrado, bon vivant senza eccessi, per nulla competitivo perché conscio del proprio valore, indolente per autodifesa, innamorato della vita. È questa immagine che spiega anche la passione italiana dei francesi, passione che spesso ci sembra incomprensibile e comunque immeritata: ci vorrebbero come lui, si illudono che siamo come lui, non rinunciano all'idea che, volendo, saremmo come lui. E per questo ci invidiano.
La vita come gioco, il gioco della vita. È in questa chiave che va letta l'avventura umana e professionale di Marcello Mastroianni, un italiano vero, ma non folcloristico, che non si prendeva sul serio.
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