BELVE UMANE

Gli anglosassoni li chiamano nazi-noir o nazi-thriller. Sono in genere romanzi densi di brivido e azione che hanno per protagonisti membri del partito nazista che si trovano al centro di intricate indagini. Antesignani di questo genere narrativo sono stati due romanzi seminali come La notte dei generali (Garzanti) di Hans Hellmut Kirst, del 1962, e Fatherland di Robert Harris, del 1992. Di volta in volta i gerarchi apparivano dotati, oltre che di spiccate attitudini investigative, anche di uno spirito critico militante nei confronti degli orrori prodotti dal nazismo.
Di questa cerchia di storie fa parte Autunno a Berlino (Piemme) di Paolo Bertetto, in cui nei primi anni Venti il procuratore capo Stephan Wick decide di riaprire i casi delle strane morti di Rosa Luxemburg e Lisa Rosenthal, la prima moglie del regista Fritz Lang. Stephan Wick è un personaggio immaginario, ma per costruirlo Bertetto si è ispirato al celebre von Wenk che tiene testa al super criminale Mabuse in Il Dottor Mabuse (1922) dello stesso Fritz Lang. Non inventato è invece il colonnello Claus Philipp Maria Schenk von Stauffenberg, l’ufficiale dello stato maggiore tedesco che in Quei due giorni di luglio (Lantana) di Stig Dalager organizza l’attentato a Hitler del 1944. Il romanzo, teso e serrato, scandisce con abile regia i due giorni fatali del 19 e 20 luglio in cui il possibile colpo di Stato ebbe luogo e mette a confronto un Hitler invasato e delirante con uno Stauffenberg tormentato. Il ritmo da thriller ha reso questa storia perfetta per il cinema e il romanzo dell’autore danese ha ispirato la realizzazione di Operazione Valchiria di Bryan Singer, con Tom Cruise.
Sempre von Stauffenberg è stato il modello primario per la costruzione, a partire dal 1999, del personaggio di Martin Bora, ufficiale della Wehrmacht creato dalla scrittrice italo-americana Ben Pastor, un uomo dalla forte integrità morale, fortificato da una fede religiosa che spesso lo ha aiutato a reagire a situazioni di estremo pericolo. Nel recente Il signore delle cento ossa (Sellerio) ritroviamo Martin Bora nel 1939, agli albori della sua carriera militare. Mentre lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale è imminente, deve dare un volto a una pericolosa spia e contemporaneamente risolvere il duplice omicidio del generale giapponese Ishiro Kobe e del suo attendente Nogi.
Un tedesco tutt’altro che simpatico e descrittoci già dalle prime pagine come uno psicopatico, cresciuto fin da bambino con un’attitudine innata per la violenza, è invece il Reynard Heydrich che troviano fra le pagine di HHhH. Il cervello di Himmler si chiama Heydrich (Einaudi), sorprendente romanzo d’esordio con cui il francese Laurent Binet ha conquistato l’anno scorso il prestigioso premio Goncourt per l’opera prima. È una storia costruita in maniera originale mescolando documentazione d’epoca (diari, foto, frasi) e fiction. Binet si arrampica alla ricerca di uno stile narrativo che risulti il più possibile originale per raccontare la vita terribile del braccio destro di Himmler, soprannominato «il macellaio di Praga» e «la Bestia bionda», il militare che tenne il 20 gennaio del 1942 a Wansee la conferenza che pianificò la «Soluzione finale» degli ebrei. In parallelo procede la narrazione delle gesta di due intrepidi partigiani (Jozef Gabcik e Jan Kubis) i quali diventeranno i protagonisti dell’«Operazione Antropoide» che il 27 maggio del 1942 cercherà di eliminare una volta per sempre Heydrich. L’esito dell’attentato avrà dell’incredibile: il mitragliatore Sten di Gabcik si incepperà davanti alla vittima disegnata e la bomba lanciata da Kubis farà esplodere la Mercedes di Heydrich, ma lo lascerà ancora in vita (morirà di setticemia qualche settimana dopo all’Ospedale di Praga per le ferite riportate). Da lì scatterà una caccia all’uomo che porterà i due partigiani-paracadutisti a rifugiarsi nella chiesa di San Cirillo e Metodio dove, assediati nella cripta da seicento SS, decideranno di suicidarsi piuttosto che arrendersi al nemico.
Fin dall’inizio del romanzo i lettori sanno che la missione di Jozef e Jan è destinata a fallire tragicamente, ma l’abilità di Binet consiste nel tener viva l’attenzione con un ritmo degno de Il giorno dello sciacallo di Frederick Forsyth.

Leggendo le ultime pagine sotterranee in cui i tedeschi fanno di tutto per stanare i due attentatori, Binet, che da subito mette in chiaro di aver cercato di svincolarsi dallo stile di Milan Kundera, dimostra di aver fatto suo quello epico del Victor Hugo di Notre Dame de Paris. E come Quasimodo ed Esmeralda trovano la pace nei sotterranei di Parigi, anche Jozef e Jan vivranno il loro destino da eroi nel sottosuolo di Praga.

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