Talking Brands

Benvenuti nel Direct Brand

Oggi, la crescita spinta dalla digital disruption sta portando ad un contatto sempre più diretto con i consumatori. Ma come mai i direct brand hanno trovato un così grande successo?

Benvenuti nel Direct Brand

La indirect-brand-economy, che ha abbracciato più di un secolo (dal 1879 al 2010), si fondava su un processo collaudato: il brand, per arrivare a comunicare con il cliente finale, attraversava vari intermediari, a partire dall’agenzia pubblicitaria, passando per gli editori e i distributori, per arrivare, solo infine, ai consumatori. Dunque, storicamente, per un business, il dominio sulle catene distributive significava dominare il mercato. Oggi, la crescita spinta dalla digital disruption sta subendo uno shift verso il direct-to-consumer: il cloud permette di entrare in contatto con il mercato in modi inediti, forzando i brand a connettersi direttamente con i consumatori.

Ma come mai i direct brand hanno trovato un così grande successo? Sfruttando il mutato panorama di supply chain incentrato sulle tecnologie informatiche e la rete, questi player nativi digitali sono in grado di proporre un’esperienza di qualità superiore di prodotto e servizio, ad un quarto del prezzo tipico. Come?

Ascoltano i loro consumatori: ad esempio il brand newyorkese Care Of sottopone i suoi clienti ad un esaustivo questionario di 48 domande prima di sviluppare una proposta di integratori adeguata alle loro esigenze e/o carenze specifiche.

Sono maniacalmente focalizzati sulla customer experience: Birchbox, ad esempio, propone un abbonamento grazie al quale, ogni mese, vengono recapitati alle clienti ben 5 samples di prodotti cosmetici nuovi da provare. Il brand fa in questo modo un uso sapiente dell’effetto sorpresa, accompagnato anche dall’esperienza di unboxing particolarmente accattivante (ogni mese una confezione dal design particolare).

Usano i contenuti come elemento differenziante: lo storytelling è una parte centrale della loro comunicazione. Huel offre ai propri consumatori una nuova e articolata prospettiva sull’alimentazione, attraverso un’offerta di shakes e preparati studiati da attenti nutrizionisti. Le ragioni suggerite dal brand per fare uso dei suoi prodotti sono legate alla loro completezza nutrizionale, ma anche a questioni quali l’emergenza cibo e l’eccessivo sfruttamento delle risorse ambientali per produrre cibi provenienti da fonti animali.

La loro missione è la loro storia: un esempio su tutti è il brand di assorbenti in cotone biologico Ohne, che incentra la sua comunicazione sul superamento dei taboo rispetto al ciclo mestruale, visto ancora molto spesso come motivo di imbarazzo. In generale, il brand ha fatto propria la causa dell’abbattimento di tutti gli stereotipi di genere, andando oltre il tema specifico delle mestruazioni.

Si muovono attorno ai dati: raccolgono autonomamente i dati relativi ai propri clienti al fine di garantire un approccio su misura, come Graze, che analizza i gusti dei propri consumatori prima di spedire loro la box mensile di snack più in linea con le loro preferenze.

Puntano su una comunicazione social: connettersi con i consumatori, attraverso social media, piattaforme di contenuti, servizi di streaming e web tv, service device. Ad esempio, il brand Glossier è stato introdotto sul mercato con una serie di post su Instagram: 10 mesi di sviluppo furono compressi in una manciata i post spalmati nell’arco di qualche settimana. Al tempo dei primi prodotti venduti online, Glossier aveva già guadagnato 13mila followers su Instagram; il giorno seguente, il conto superava i 18mila.

Stanno diventando multi-channel: Boll & Branch, che propone lenzuola di cotone biologico, ha deciso di aprire un retail store fisico per venire incontro al desiderio dei propri clienti di toccare con mano la piacevolezza e la qualità dei propri prodotti, mostrando il moderno, inusuale, passaggio dall’online all’offline (piuttosto che il contrario, come in passato).

Molti potrebbero pensare che si tratti semplicemente di nuove modalità di marketing vuote e inconsistenti, e che nella sostanza non ci sia una vera innovazione di prodotto. Rasoi, cibo sano, assorbenti, valigie, materassi: dove sta l’innovazione? Del resto la stragrande maggioranza delle volte, queste piccole società non producono direttamente i loro prodotti e tendono a condividere i loro supplier. Quindi, in teoria, è sufficiente inventare una bella storia da raccontare, concepire packaging accattivanti e campagne social divertenti, investire qualche migliaia di euro sulle inserzioni Facebook, ed il gioco è fatto? No. Perché sono diversi anni ormai che questi brand consolidano fatturati e crescita, configurandosi come modelli di riferimento, piuttosto che come meteore di passaggio. Per intenderci, la quota di mercato dei rasoi maschili negli stati Uniti posseduta da Gillette è precipitata al 54% nel 2016 dal 70% nel 2010, mentre le quote di Dollar Shave Club e Harry’s, sono salite al 12.2% dal 7.2% del 2015 (Fox Business, 2017); la crescita di fatturato dei grocery store, in generale, si prospetta essere intorno all’1% nel 2022, mentre il mercato dei Meal Kit crescerà di 10 volte per la stessa data (Technomic, 2016).

Dov’è dunque l’innovazione? Come fanno a differenziarsi in maniera così sostanziale? Saltando i canali tradizionali, disegnando il prodotto in-house, e stringendo una relazione di estrema fiducia con i clienti, basata su valori condivisi. L’assunto di base di queste piccole realtà emergenti, dette anche boutique brand, è che al centro del business model c’è il rapporto con il cliente. Un rapporto che si declina in servizi personalizzati e con una customer experience mai provata prima, dove di fatto conta il servizio nel suo complesso, che incarna valori, emozioni e desideri positivi per il cliente, più che il prodotto fisico in sé. Attraverso un feedback continuo, una comunicazione two-way, i brand possono migliorare continuamente questo aspetto relazionale.

Tutto questo non impatta solo chi oggi sta nascendo, ma anche chi già esiste inducendo ad un ripensamento rispetto ai ruoli di tutti i canali di comunicazione e contatto col brand, fra cui i retail store fisici, che lungi dallo scomparire saranno sempre più concepiti per finire (o iniziare) quello che gli spazi digitali hanno inaugurato.

Non a caso, anche un brand come Nike sta prendendo esempio dalle nuove, piccole realtà, adattandosi al trend del direct-to-consumer, e dal 2010 al 2020 le previsioni del risultato delle sue nuove strategie direct-to-consumer sono un passaggio da 19 miliardi di dollari di ricavi a 50 miliardi.

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