Roma - «Non avrò pace finché non vedrò rotolare la testa di Berlusconi ai miei piedi». Qualche mese fa, nel suo ultimo faccia a faccia con Amedeo Laboccetta, Gianfranco Fini non aveva fatto mistero dei suoi desiderata. Raccolti per filo e per segno da Italo Bocchino che ieri ha pensato bene di fare una dichiarazione di voto così violenta che a qualcuno è venuto il dubbio fossa stata scritta direttamente a Palazzo Grazioli. «Ero incerto su cosa fare, ma sentito Bocchino ho deciso per la fiducia», ironizza il Cavaliere seduto al banco del governo. Già, perché sono anche i pesantissimi affondi del capogruppo del Fli alla Camera a contribuire allo smottamento della pattuglia finiana - al punto da aprire una crepa anche nel gruppo del Senato - e a un successo che per Berlusconi vale oro. Perché - spiega il premier in privato dopo un brindisi a Palazzo Chigi insieme a Paolo Bonaiuti, Giulio Tremonti e i vertici della Lega - da oggi «abbiamo archiviato sia Fini che ogni ipotesi di governo tecnico». Se in pubblico il Cavaliere preferisce non sbilanciarsi sul presidente della Camera - «mi consenta di non rispondere», dice a Bruno Vespa durante la presentazione del suo ultimo libro - con i suoi è decisamente più tranchant: ha piegato le istituzioni ai suoi interessi di bottega al punto di usare la presidenza della Camera come strumento di killeraggio politico, incredibile che non prenda neanche in considerazione l’ipotesi di un passo indietro. Un concetto, seppure in modo decisamente più prudente, che Berlusconi espone anche a Giorgio Napolitano quando sale al Colle per relazionarlo sul voto.
Portata avanti la fiducia e seppellita qualsiasi ipotesi di esecutivo ponte, il Cavaliere dovrà dunque mettersi al lavoro sulle prossime mosse visto che è chiaro che un governo con soli tre voti di vantaggio alla Camera è destinato a non durare. E infatti le elezioni anticipate a marzo restano sempre la via più probabile, anche se Berlusconi cercherà la strada di un allargamento della maggioranza che porti il governo ad avere numeri più solidi. Non certo con il Fli, perché con Fini e con l’ala dei falchi è chiuso ogni canale. Come con le colombe che più l’hanno deluso. «Da te non me l’aspettavo, non rivolgermi più il saluto», dice avvicinandosi al banco di Giuseppe Consolo. Per poi girarsi verso Bocchino: «Davvero un bel capolavoro hai fatto. Bravo...». A tutti, però, compreso il pasdaran Fabio Granata, stringe la mano.
Il premier, dunque, punta sui delusi del Terzo polo. Che, dice, «è già morto e sepolto». Ci sono i finiani, con il capogruppo al Senato Pasquale Viespoli che non ha affatto gradito l’intervento del suo omologo a Montecitorio, e che non è l’unico a scalpitare. Ma ci sono anche alcuni centristi dell’Udc che hanno iniziato a pressare Pier Ferdinando Casini dopo le aperture di Berlusconi. Il premier, infatti, dice chiaro e tondo di essere pronto ad allargare a Casini e non esclude una crisi pilotata aprendo a quelle dimissioni lampo che a Fini non ha voluto concedere. In verità, piuttosto un’ovvietà perché non s’è mai visto l’ingresso di un partito d’opposizione nella maggioranza di governo senza un formale reincarico. Ipotesi che però non sembra convincere né Denis Verdini - l’uomo che da oltre un mese è alle prese con il pallottoliere della Camera - né Ignazio La Russa, convinti che il premier non debba cedere alla richiesta di dimissioni in alcun caso. Si vedrà, di certo i due non sembrano essere ottimisti sulla trattativa con Casini. «Inizia in salita», concordano lasciando la presentazione del libro di Vespa mentre La Russa fa leggere a Verdini le prime dichiarazioni del leader centrista. Senza contare che su un’eventuale intesa pesano non poco le perplessità della Lega. Umberto Bossi, è vero, fa sapere che «no ci sono veti». Ma sono parole dietro le quali c’è anche molta pretattica visto che è chiaro che il Carroccio porrà condizioni pesantissime non solo ad un ingresso tout court dell’Udc ma pure ad un semplice appoggio esterno.
Al momento, dunque, Berlusconi è concentrato sul rosicchiare quanti più moderati possibili - sette Fli e tre Udc, contava il premier con i suoi - così da allargare la maggioranza. Per poi sperare che le pressioni della base centrista su Casini possano sortire qualche effetto. Altrimenti, come resta probabile, non ci sarà altra strada che il voto.
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